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  • N.1 - Gennaio-Marzo
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Libri

Letteratura

“Pin è seduto sulla cresta della montagna, solo: rocce pelose d’arbusti scendono a picco ai suoi piedi, e s’aprono vallate, fin giù nel fondo dove scorrono neri fiumi. Lunghe nuvole salgono per i versanti e cancellano i paesi spersi e gli alberi. È successo un fatto irrimediabile, ormai: come quando ha rubato la pistola al marinaio, come quando ha abbandonato gli uomini dell’osteria, come quando è scappato dalla prigione. Non potrà più ritornare con gli uomini del distaccamento, non potrà mai combattere con loro.
È triste esser come lui, un bambino nel mondo dei grandi, sempre un bambino, trattato dai grandi come qualcosa di divertente e di noioso; e non poter usare quelle cose misteriose ed eccitanti, armi e donne, non potere far mai parte dei loro giochi. Ma Pin un giorno diventerà grande, e potrà essere cattivo con tutti, vendicarsi di tutti quelli che non sono stati buoni con lui: Pin vorrebbe essere grande già adesso, o meglio, non grande, ma ammirato e temuto pur restando com’è, essere bambino e insieme capo dei grandi, per qualche impresa meravigliosa”.

Italo Calvino

Il sentiero dei nidi di ragno
(L’opera è in libreria per i tipi Oscar Mondatori al prezzo di euro 8,00)

Non poteva mancare tra le opere di Calvino un romanzo ambientato nella Resistenza. Il sentiero dei nidi di ragno, però, non è un libro sulla Resistenza, poiché quell’epopea costituisce solo il pretesto per raccontare la storia di un bambino: Pin. Come disse lo stesso Calvino “inventai una storia che restasse in margine alla Guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo …”. L’Autore crea una prospettiva originale attraverso la quale vuole guardare alla Resistenza con l’ingenuità di un’innocenza tradita ed offesa, con l’entusiasmo di chi crede nelle cose grandi, pur restando piccolo, con il cuore grande di una mente che ancora non riesce a vedere del tutto quanto di brutto e malvagio si agita nel mondo: si tratta, insomma, di vedere la Resistenza con gli occhi di un bambino. Al di là dello stile affascinante e favoloso, fatto di sapienti descrizioni e di immagini sospese tra mito e realtà, l’opera di Calvino si fa apprezzare proprio per la profondità dello sguardo, per la capacità di penetrare nell’animo dell’uomo, lasciandosi guidare dalla mano di un fanciullo, precocemente prestato al mondo dei grandi. C’è la guerra, ci sono i combattimenti e la vita clandestina dei partigiani, la drammaticità degli eventi e l’epica di una lotta ad armi impari, la morale di uno scontro tra il bene e il male. Cose da grandi, forse troppo grandi e incomprensibili per chi dovrebbe soltanto giocare e si trova catapultato in un mondo che neanche gli uomini adulti riescono a governare rettamente. L’Autore riesce, indubbiamente, a rendere i colori a tinte fosche e cupe della Resistenza, il sapore aspro e forte della vita partigiana, tra combattimenti, ritirate, bivacchi, pasti frugali e notti all’addiaccio; ma non rinuncia mai alla tenerezza di un bambino, alla sua immagine di speranza nel futuro, alla riconciliazione tra mondo degli adulti e quello dei bambini.




“Colui che ha vinto la battaglia di Waterloo è Napoleone messo in rotta, non è Wellington, che alle quattro ripiega e alle cinque è disperato non è Blucher che non ha affatto combattuto, colui che ha vinto la battaglia di Waterloo è Cambronne. Poiché fulminare con una parola simile il nemico che v’uccide, significa vincere.
Dar questa risposta alla catastrofe, dire siffatta cosa al destino, dare codesta base al futuro leone, gettar codesta ultima battuta in faccia alla pioggia della notte, al muro traditore dell’Hougomont, alla strada incassata d’Ohain, al ritardo di Grouchy e all’arrivo di Blucher; esser l’ironia nel sepolcro fare in modo di restar ritti dopo che si sarà caduti, annegare in due sillabe la coalizione europea, offrire ai re le già note latrine dei cesari, fare dell’ultima delle parole la prima, mescolandovi lo splendore della Francia, chiudere insolentemente Waterloo col martedì grasso, completare Leonida con Rabelais, riassumere questa vittoria in una parola impossibile a pronunciare, perder terreno e conquistare la storia, aver dalla sua dopo quel macello, la maggioranza, è una cosa che raggiunge la grandezza eschilea.”

Victor Hugo

La battaglia di Waterloo
(L’opera è in libreria per le edizioni Laterza, al prezzo di euro 4,65)

Dalla penna di Victor Hugo non poteva che nascere una delle più maestose, penetranti e drammatiche descrizioni di una battaglia. Dovremmo dire la “Battaglia”, visto che Waterloo segna lo spartiacque tra due epoche, rappresenta la sconfitta del genio militare e la vittoria del valore individuale dei soldati e dei loro comandanti. Il racconto di Hugo è ricco di particolari, denso di fatti e personaggi, accurato nella sapiente descrizione dei luoghi e delle persone, un capolavoro narrativo che poteva generare solo da un genio letterario. Nulla viene trascurato: i singoli combattimenti, gli assalti delle fanterie e le cariche dei reggimenti di cavalleria, i nomi e le gesta delle unità francesi, inglesi e prussiane. Hugo prende per mano il lettore e lo accompagna per il campo di battaglia, indicandogli i luoghi, i casolari, i fossati e le spianate, presentandogli corazzieri, artiglieri, dragoni, ulani, fanti, lancieri, guardie e granatieri. Il racconto è un crescendo, è un dramma che si consuma lentamente sino in fondo, toccando vette sublimi quando giunge a narrare l’epopea della Vecchia guardia e la tragedia dell’ultimo quadrato dal quale spicca la risposta di Cambronne ad un ufficiale inglese che intimava la resa ai superstiti francesi. Magistrali le descrizioni psicologiche dei due principali protagonisti: Napoleone e Wellington. Nel racconto non c’è solo estetismo narrativo, ma una serrata critica storica dei fatti e degli eventi, la cui oggettiva validità è solo parzialmente offuscata dal forte sentimento nazionale dell’Autore. La maturità del giudizio storico sulla battaglia di Waterloo sta tutta nella capacità di trarre da una catastrofe i giusti ammaestramenti politico-militari, in un’epoca di profondi sconvolgimenti. Il racconto è una piccola grande perla di Victor Hugo che al pari di altre grandi opere dell’Autore francese merita di essere letta e meditata.


“Il tenente Lukas era il prototipo dell’ufficiale di carriera dell’impero austroungarico in procinto di crollare …
Non si può negare che fosse ben capace di gridare, ma non dava mai insulti a nessuno. Egli non usava che locuzioni o vocaboli scelti. ‘Vedete,’ diceva, ‘mi rincresce sinceramente di punirvi, ragazzi miei, ma io non ci posso far nulla, perché il morale e l’efficienza delle truppe si basano sulla disciplina e senza disciplina l’esercito è come una canna scossa dal vento. Se voi non tenete l’uniforme in ordine, e i bottoni non sono ben cuciti o addirittura vi mancano, è chiaro che voi trascurate i doveri che vi siete assunti di fronte all’esercito. Può anche darsi che a voi non riesca di capacitarvi come mai vi si punisca con la prigione perché il giorno avanti alla rivista vi mancava un bottone alla giubba, un nonnulla, una piccolezza, che nella vita civile sarebbe passata assolutamente inosservata. Eppure, questa insignificante trascuratezza del vostro aspetto esteriore durante il servizio militare deve avere per conseguenza una punizione. E perché? Perché non ne va del bottone che vi manca, ma dell’assoluta necessità d’adattarsi alle abitudini. Oggi non ricucite il vostro bottone, e date inizio al disordine. Domani vi rifiuterete di smontare e ripulire il vostro fucile, domani l’altro lascerete la vostra baionetta all’osteria, e tutto questo perché avete cominciato a fare i fannulloni a proposito di quel disgraziato bottone. Così è, ragazzi miei, ed è per questo che io vi punisco allo scopo di risparmiarvi punizioni peggiori per ciò che potreste commettere trascurando adagio adagio ma sempre di più i vostri doveri. Intanto io vi assegno cinque giorni di prigione e voglio sperare che stando a pane ed acqua avrete il modo di riflettere che la punizione non è una vendetta, ma un puro e semplice procedimento educativo, che contribuisce alla correzione e al miglioramento del militare che ha trasgredito”

Jaroslav Hasek

Il buon soldato Sc’veik
(L’opera è in libreria per i tipi Feltrinelli, al prezzo di euro 13,50)

Il buon soldato Sc’veik è una delle opere meglio riuscite dello scrittore boemo Jaroslav Hasek (1883 - 1923). È la storia di un semplice mercante di cani chiamato ad adempiere il servizio militare nell’esercito austroungarico e a partecipare alla Prima guerra mondiale. Il soldato Sc’veik è un attendente (gustosissimo il capitolo sulla storia dell’istituto degli attendenti), ordinanza del tenente Lukas, ma per una serie di circostanze diventa quasi un incubo per il suo ufficiale. Sc’veik è umile e grottesco, capace di mettersi continuamente nei guai e di uscirne grazie al suo disarmante candore. È un contrasto vivente con la rigida mentalità, i puntigliosi regolamenti e la ferrea disciplina dell’imperialregio esercito austroungarico. Un contrasto che l’Autore rende mirabilmente in tutto il suo lungo romanzo, per sottolineare l’assurdità delle situazioni, l’irragionevolezza degli uomini e dei tempi, un mondo decrepito e destinato di lì a poco a scomparire. Il romanzo è fortemente dissacrante, in alcuni passi molto crudo e sarcastico; lo stile asciutto e immediato dell’Autore rende ancor più acre la lettura nelle parti in cui i vizi e le debolezze umane vengono presentate senza alcuna perifrasi. Ma il lettore non può fare neanche a meno di sorridere di fronte alle gesta di Sc’veik, alla sua ingenua e tenera lotta quotidiana per la sopravvivenza in un mondo - talvolta - indecifrabile: come un bambino in un mondo di adulti incomprensibili ed egoisti. Sc’veik osserva pedissequamente i regolamenti e gli ordini che gli vengono impartiti, cavandosela sempre grazie a questa sua assoluta obbedienza a ciò che gli viene comandato. E questo suo comportamento da buon soldato smaschera l’arroganza e la presunzione, pone nel ridicolo il suo più acerrimo nemico, il sottotenente Dub. “Faccio rispettosamente osservare …” è una vera e propria cantilena che Sc’veik recita continuamente di fronte ai suoi superiori, irrita Dub e allo stesso tempo smonta ogni sua velleità punitiva. Nel romanzo, però, non c’è solo il lato negativo delle cose, ma anche molto cameratismo, quella solidarietà semplice ed immediata che si instaura tra chi vive le stesse esperienze di vita; è un inno al buon senso, che sembra smarrito da parte di chi non riesce più a vedere il reale evolversi degli eventi. E così che Il buon soldato Sc’veik è uno di quei romanzi capaci di provocare le sensazioni più diverse: suscita continuamente ilarità, lascia talvolta malinconici ed ha anche il grande pregio di far riflettere di fronte ad un personaggio quasi unico nel panorama letterario (un Forrest Gump ante litteram) e alla sua umanità, di cui qualche aspetto è comune con ciascuno di noi.


“Servire è più facile che comandare. Ma comandare male è più facile che comandare bene. Il buon comando è consapevolezza del servire. Coscienza del rapporto tra ordine ed esecuzione da attingere con una volontà sempre tesa alla ricerca di una misura assoluta”

Oreste Del Buono

La nostra classe dirigente
(L’opera è in libreria per i tipi Baldini & Castoldi al prezzo di euro 13,36)

Il luglio del 1943 è l’evento centrale del libro di Oreste Del Buono. Una classe dirigente che si scioglie come neve al sole, un giovane irretito da una retorica vuota e arida, un Paese in ginocchio, una guerra feroce e totale sono tutti gli ingredienti di questo romanzo storico . In primo piano c’è la Regia Marina, le sue tradizioni, le sue navi e i suoi eroi. In questo quadro emerge la figura di Teseo Tesei un pioniere dei mezzi d’assalto della Marina ed un eroe della Seconda guerra mondiale, sullo sfondo si agitano tanti personaggi politici, la nostra classe dirigente di allora. Il racconto si concentra sui molti protagonisti dell’epoca da Mussolini ad Hitler, passando per gerarchi fascisti, generali e marescialli italiani e tedeschi. Bottai, Ciano, Grandi, De Marsico, Ambrosio, Farinacci e molti altri sono le figure tratteggiate da Del Buono che mette a nudo limiti e manchevolezze, miopia storica e dilettantismo politico. Con mirabile maestria narrativa, dove si alternano lucide descrizioni di fatti e persone e colpi di scena ed effetto, viene narrato quel luglio del 1943 che ruota attorno soprattutto alla famosa seduta del Gran consiglio del fascismo che determinò una svolta radicale nella storia d’Italia. La nostra classe dirigente è un libro che offre una prospettiva particolare sui fatti del luglio del 1943, senza ipocrisia e senza retorica, attraverso un’analisi puntuale ed uno sguardo disincantato sul mondo. È la storia di un giovane italiano che tra speranze e paure affronta una realtà che maschera un volto ben diverso da quello dipinto da anni di roboante propaganda, una realtà che si sfalda sotto i colpi della storia e mostra un desolante paesaggio. Solo gli eroi rimangono a brillare in una notte lunga ed oscura, uomini che nonostante tutto sanno ancora esprimere gli eterni valori del coraggio e dell’onore.

a cura del
Ten.Col. CC Fausto Bassetta




Sandro Montanari

Riflessi nello schermo. Prospettive di tutela dei minori nell’era digitale

Aracne editore,
2007, pagg. 305,
euro 16,00

Negli ultimi decenni si è assistito a una graduale diffusione di una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza su scala mondiale, imperniata sull’introduzione sia di uno statuto dei diritti dei minori, sia di strumenti giuridici atti a garantire l’effettivo esercizio di tali diritti. Il minore, oggi, non è più considerato un mero prolungamento dell’adulto o una sorta di piccolo uomo che deve essere forgiato sulla base dei bisogni e delle esigenze dei grandi.
È infatti opinione condivisa che l’essere umano in età minorile sia già una persona titolare di autentici diritti: non solo diritti di natura patrimoniale, ma anche diritti di personalità, come quello di poter esprimere le proprie idee, e diritti sociali, quali per esempio il diritto al tempo libero e al gioco.
Tale progressiva presa di coscienza si è innestata, comunque, all’interno di percorsi di cambiamento che stanno sensibilmente trasformando la società, rendendola sempre più complessa e flessibile. Un ruolo importante è a questo proposito svolto dall’inarrestabile progresso tecnologico. Le attuali tecnologie mediali modificano le modalità di comunicazione con gli altri, consentendo di dilatare i confini spazio-temporali e di creare dimensioni virtuali con le quali l’essere umano è chiamato quotidianamente a confrontarsi.
Le recenti acquisizioni scientifiche appaiono dunque foriere di preziose occasioni di crescita per gli individui e per la società. Si pensi alle illimitate possibilità, proprie dell’uomo post-moderno, di accedere a un ventaglio di informazioni o programmi televisivi o di interagire con altre persone tramite i vecchi e i nuovi media. Si pensi, ancora, che i vecchi e i nuovi media sono ormai entrati in una fase di convergenza e di reciproca influenza caratterizzata da forme di fruizione dei messaggi e di interattività che sottendono inedite logiche sulle quali le nuove generazioni esplorano e costruiscono il mondo.
È chiaro che tutto ciò non può e non potrà non avere dei riflessi sugli stessi processi di sviluppo dei minori, che devono essere oggetto di attento studio da parte dei ricercatori. Inoltre, accanto alle positive opportunità offerte dall’evoluzione dei media, occorre tener presente che stanno significativamente aumentando i potenziali pericoli per i minori, i rischi di rimanere irretiti nelle maglie di pedofili online, le possibilità di accedere a contenuti e immagini emotigene o non adeguate, le probabilità che quei diritti a tutela dei minori, così tanto faticosamente conquistati, possano essere disattesi e violati. Non di rado, anche nell’ambito delle attività svolte presso i Tribunali per i minorenni, si prende per esempio coscienza che taluni comportamenti di natura violenta posti in essere dal minore in violazione delle leggi prendono spunto da scene di film o di videogiochi o da notizie apprese in programmi di informazione.
Ciò non significa che i media rappresentino una minaccia sulla quale riversare tutte le nostre ansie o i mali della società. Indica, invece, che tra la moltitudine di fattori che influenzano i processi di pensiero, i valori, le emozioni e i comportamenti dei minori, il rapporto intessuto con i media può giocare un ruolo significativo.
Come ha già sottolineato la Suprema Corte di Cassazione nel 1996, i mass media sono la “fabbrica” e lo “specchio” del comune sentire. In altri termini, si può affermare che la rappresentazione sociale del mondo si produce sempre più attraverso il contributo dei mezzi di comunicazione i quali, nel contempo, mostrano la realtà e i suoi molteplici aspetti, assumendo funzioni e significati per l’utente di età minorile che sono in relazione ad una pluralità di variabili inerenti la sua storia, il sistema familiare di appartenenza, il contesto educativo e ambientale.
Il minore, dunque, scorge nello schermo riflessi del mondo esterno. Un mondo di cui gli stessi media fanno intrinsecamente parte e che contribuiscono a modificare. Ma il minore intravede nello schermo anche riflessi di se stesso, rispecchiandosi nei moti interiori di personaggi e eroi virtuali, a volte assimilandone desideri e stili di vita.
Per le motivazioni appena delineate è fuori discussione che lo studio del rapporto tra i minori e le tecnologie mediali debba essere maggiormente valorizzato e promosso in più sedi e divenire patrimonio conoscitivo indispensabile di chi, educatore, psicologo dell’età evolutiva, giudice minorile, ecc., si occupa a vario titolo di tutelare il minore.
In tale prospettiva, questo volume, scritto da Sandro Montanari, colma finalmente una lacuna del panorama di settore, offrendo al lettore un’interessante e autorevole disamina del fenomeno rappresentato dalla relazione intercorrente tra le persone in età minorile e il mondo televisivo e della comunicazione elettronica.
L’Autore, da anni impegnato in attività di tutela dei diritti dei minori presso l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e presso il Tribunale per i minorenni di Roma, trasfonde nel volume il suo cospicuo bagaglio di studi e di esperienze ed affronta il tema, ricco di articolazioni e sfumature, secondo un’impostazione opportunamente interdisciplinare. La redazione del volume, infatti, rappresenta l’esito di un’interazione tra il sapere giuridico e i saperi che afferiscono alle discipline psico-medico-sociologiche e delle scienze della comunicazione.
La scelta di fondo dell’Autore è pertanto in sintonia con il modello proprio del Tribunale per i minorenni, all’interno del quale - nella consapevolezza della delicatezza della materia, della necessità di comprendere la personalità minorile nella sua globalità e dell’impatto che ogni provvedimento può avere sul presente e sul futuro del singolo minore - ciascuna decisione è frutto di un confronto alla pari tra giudici togati, quali rappresentanti delle scienze giuridiche, e giudici onorari, quali rappresentanti delle scienze umane.
All’interno del volume, l’Autore, a partire dall’analisi dello scenario internazionale ed europeo, offre una dettagliata lettura del panorama normativo e giurisprudenziale italiano, con specifico riferimento alla tutela dei minori nella programmazione televisiva. Si sofferma, poi, sui concetti giuridici e psicologici contenuti nelle disposizioni legislative, ritenendo la delimitazione semantica di termini, quali pornografia, oscenità, violenza gratuita, sviluppo psichico e morale del minore, operazione indispensabile ai fini dell’interpretazione e della corretta applicazione delle norme. Approfondisce, ancora, il tema sotto il profilo prettamente scientifico, affrontando la controversa questione degli “effetti” e fornendo indicazioni e spunti critici di riflessione anche relativamente all’emergente problema della violenza mediatica. Il volume, inoltre, contiene uno studio, particolarmente complesso, di analisi del contenuto del testo televisivo che, partendo dagli approfondimenti riportati nei capitoli precedenti, consegue l’obiettivo di realizzare, secondo un’ottica interdisciplinare e un metodo rigorosamente scientifico, uno strumento di rilevazione e le relative procedure operative idonei a facilitare il lavoro di monitoraggio e di valutazione dei filmati che le norme pongono attualmente in capo all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Le conclusioni, infine, oltre ad alcune considerazioni di sintesi, contengono riflessioni propositive dell’Autore, secondo il quale è necessario affiancare all’azione repressiva e sanzionatoria svolta dagli organi di vigilanza in materia, anche una logica improntata all’introduzione di iniziative e processi tesi a promuovere un uso sempre più consapevole e responsabile dei mezzi di comunicazione, da parte di tutti gli attori in gioco. È, peraltro, la stessa logica che, pur con i dovuti distinguo, anima il lavoro di noi magistrati minorili. Si tenga per esempio presente che, ai sensi dell’articolo 28 del D.P.R. n. 488/1998 - c.d. nuovo processo penale minorile - il giudice può sospendere il processo penale in corso e “mettere alla prova” il minorenne che ha commesso il reato, anche attraverso il coinvolgimento di tutte le risorse disponibili (famiglia, servizi sociali, ecc.). Il processo penale, pertanto, non ha solo una valenza sanzionatoria, ma - soprattutto - assume una finalità educativa e una funzione responsabilizzante per il minore, rappresentando per questi un’occasione per la costruzione di un progetto all’interno del quale prendere consapevolezza dei propri limiti e delle proprie potenzialità e giocare un ruolo attivo nella costruzione di alternative di vita, non necessariamente connesse a scelte devianti.
In conclusione, il volume rappresenta un’importante guida per tutti coloro che sono impegnati a tutelare, nei più vari contesti, i diritti dei bambini e degli adolescenti e che desiderano comprendere le implicazioni sottese all’irruzione della dimensione digitale nella vita delle persone in età evolutiva e delle loro famiglie. Tali implicazioni devono e dovranno essere sempre più prese in considerazione nei processi di identificazione del concreto interesse del minore, allo scopo di garantirgli - nei suoi sistemi di appartenenza - tutte le condizioni necessarie per un sano e armonico sviluppo fisico e della personalità.

dott. Magda Brienza