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  • N.4 - Ottobre-Dicembre
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Libri

“Nencini roteò gli occhi su i tre presenti; aveva il volto terreo come sempre gli accadeva, quando si avvicinavano le condizioni per liberare il suo odio contro gli altri uomini. In quei momenti era in uno stato quasi patologico, un epilettico avvolto dall’aura che preannuncia la convulsione. La fazione per Nencini era un mezzo per soddisfare la sua libidine, la brama di rivalsa, accecare chi aveva luce, scendere tutto alla sua misura. Un groviglio di serpi gli si muoveva nel petto dardeggiando la lingua, avendo fame e sete; era quello che lo faceva parlare, muovere, agire.
‘Te’ articolò con voce che esplode dopo aver superato un ostacolo e indicò Saverio, gli puntò contro il dito indice della mano destra, dalla quale pendeva il manganello.
‘Te’ ripeté come quel suono fosse per lui una malsana eccitazione.
‘Naturalmente’ sorrise Saverio con superiore condiscendenza nella quale era una punta di disdegno; infatti osservando quella figura così distante dalla militare distinzione di un ufficiale, gli erano venuti in mente soldati di ventura, eserciti sud americani, plebaglia camuffata con la divisa, e seguitò a guardare con distacco quel capitano”.

Mario Tobino



Il clandestino

(l’opera è in libreria per i tipi Mondadori, al prezzo di euro 7,23)

L’opera letteraria di Tobino si è confrontata più volte con l’esperienza bellica e ne ha sempre tratto una felice ispirazione. Le vicende della Seconda guerra mondiale hanno trovato, dapprima, un’importante eco nel libro “Il deserto della Libia”, dove con magistrale poetica ed ironia sono descritti alcuni episodi della guerra nel Nord Africa, successivamente sono state rievocate nel romanzo “Il clandestino”. Si tratta di un romanzo sulla Resistenza, che narra la costituzione e le gesta di un’organizzazione partigiana in un piccolo centro della Toscana, chiamata dai suoi stessi componenti il clandestino. L’organizzazione, però, non è sempre al centro del racconto, rimane un po’ sullo sfondo, come un’ideale agognato e lungamente atteso che finalmente riesce a materializzarsi, una speranza che unisce e lascia intravedere un futuro migliore. L’organizzazione è lo spunto per conoscersi, per confrontarsi con il mondo, per scoprire tutti i lati umani delle persone, il loro coraggio, la loro meschinità, la loro umanità di fronte alle tragedie immense della vita. Sono i singoli personaggi che rendono il romanzo ricco di profili psicologici e di figure umane, dipinte con maestria ed intensità; personaggi indimenticabili, da una parte e dell’altra, semplici e scaltri, ingenui e forti, nobili e sognatori, meschini e violenti. Anselmo, il Summonti, la Nelly e Saverio, ma anche il Rindi e il Nencini, storie che si intrecciano, vite che si incontrano e si spezzano. “Il clandestino” non è un romanzo sulla Resistenza come gli altri, ha sicuramente qualcosa di diverso, un minor aspetto epico per un più profonda investigazione della persona, dei suoi caratteri, del suo stato d’animo, della sua forza come della sua fragilità. Indimenticabile è anche il teatro della vicenda, la città di Medusa, cioè la Toscana in riva al mare e il suo immediato entroterra. La bellezza del romanzo è tutta nella capacità narrativa dell’Autore, nel suo saper disegnare con mille sfumature storie, ambienti e personaggi, nel far emergere dallo sfondo dell’intera vicenda un più alto ideale civile in un mondo in frantumi, crudelmente violento e troppo distante dall’uomo.
“Il clandestino” vincerà il prestigioso premio Strega nel 1962, una delle più significative attestazioni letterarie del nostro tempo.


“È impressionante parlare con i cappelloni, i giovani appena sfornati dall’Accademia e volontari sul fronte russo: sento un’immensa pietà, ammiro il loro entusiasmo, la loro rassegnazione veramente degna di una causa migliore. Credono ancora nell’esercito, nei valori morali: sognano. Vedono che le cose non vanno, avvertono che la macchina non ingrana: sperano”.

Nuto Revelli

Mai tardi
(L’opera è in libreria per i tipi Einaudi, al prezzo di euro 8,78)

Molto ha scritto Nuto Revelli sulle sue esperienze di guerra e di vita militare. Ufficiale in servizio permanente effettivo degli alpini, formatosi all’Accademia di Modena, ben presto si disillude sul reale e definitivo esito delle vicende belliche della Seconda guerra mondiale. Scrostatasi presto di dosso la densa e vischiosa morale fascista, Revelli racconta a caldo una delle più grandi tragedie militari, la ritirata dalla Russia, dopo lo sfondamento del fronte del Don da parte dei sovietici. “Mai tardi” è un diario in cui l’Autore annota giorno per giorno semplici eroismi, sacrifici oltre ogni possibile sopportazione, un’immensa disperazione in un mondo sconfinato e tremendamente freddo. Sullo sfondo uno spazio inospitale, troppo grande per essere governato dall’uomo che annaspa, combatte, cammina sino allo sfinimento per vincere la battaglia della sopravvivenza. Una ritirata che segue, con una fatalità impressionante, una missione (operativamente e logisticamente) incomprensibile, portata avanti senza convinzione, senza alcuno slancio, frutto di calcoli politici completamente sbagliati, militarmente servente un alleato tanto sprezzante quanto disumano. Il diario è incalzante, crudo, diretto, riesce perfettamente a riprodurre il ritmo serrato degli eventi, lascia trasparire in ogni sua piega un sentimento di profonda pietà umana per i tanti che cadono lungo il cammino o vengono catturati come prigionieri e comunque non ritorneranno mai. “Mai tardi” è anche una forte denuncia nei confronti di profittatori e imboscati, di un moralismo vuoto e decrepito, di chi ha giocato con le vite umane. Le opere storiche e letterarie sui tragici fatti di Russia non saranno mai abbastanza e non ci si stancherà mai di leggerle. Nuto Revelli ha prodotto molto sull’argomento non solo perché lo ha vissuto sino in fondo, ma soprattutto perché ha ritenuto eticamente e civilmente giusto raccontare e ricordare, lasciare alle generazioni future una testimonianza vera e asciutta dei fatti come si sono verificati. “Mai tardi” si completa con la più nota opera di Revelli “La strada del davai”, unendo autobiografia e narrazione epica, cronaca impietosa e critica serrata, lucida descrizione e profonda introspezione.
“Chi è il nemico del mio paese? - pensava Pino. - Garibaldi e i piemontesi che vengono di fuori e a tutti i costi ci vogliono regalare questa benedetta libertà, che chi sa che gli pare e il mondo resterà sempre quello che è, o quelli che ci hanno governati sino a ora e han voluto, pei loro fini, e han tollerato il sopruso, il raggiro, la corruzione?”

Carlo Alianello

L’alfiere
(Il romanzo è in libreria per le edizioni Osanna, al prezzo di euro 15,49)

Il romanzo è la storia di un giovane e nobile ufficiale dell’esercito borbonico, appena uscito dalla “Nunziatella”, che si torva ad affrontare le sue prime esperienze professionali e di vita. Siamo però nel 1860 e non c’è tempo per godere della vita di guarnigione e dei gradi di alfiere appena indossati, perché il Regno è stato invaso da un gruppo di avventurieri in camicia rossa alla cui testa c’è Giuseppe Garibaldi. Pino Lancia, tra entusiasmo, amor di Patria e spirito di avventura si getta nella mischia, ma rimane subito deluso dallo strano e infausto susseguirsi degli eventi. La vita gli riserverà amore e delusione, onore e disfatta. “L’alfiere” è senza alcun dubbio un romanzo storico di vasto respiro, al cui interno si muovono innumerevoli personaggi che Carlo Alianello dipinge con mirabile maestria, in un quadro umano e drammatico particolarmente ricco ed espressivo. Viene narrata una delle pagine più significative della nostra storia nazionale, ma dal punto di vista degli altri, degli sconfitti, di coloro che non ci sono più. E appare in tutta la sua tragica immagine la disgregazione di uno Stato antico, ma minato al suo interno, di un Regno splendido e glorioso ma profondamente malato. Tutto si sfascia, tutto si corrompe, la fine non si riesce ad arrestare e tutto si conclude nell’assedio della cittadella di Gaeta che eroicamente resiste sino alla inevitabile capitolazione. “L’alfiere” è il romanzo dell’onore, di questa antica virtù militare che il giovane ufficiale Lancia vive intensamente, rimanendo fedele sino all’ultimo a ciò a cui aveva creduto più di ogni altra cosa. Il disfacimento e la corruzione non riescono ad intaccare in lui questo forte sentimento di appartenenza, questa imperiosa regola di vita, nonostante i dubbi che continuamente l’assalgono, nonostante il tradimento di molti e tra i molti anche alte cariche militari. Intorno a Pino Lancia si muovono disertori e traditori, camorristi e faccendieri, avventurieri e insorti, una girandola di personaggi ambigui, di situazioni difficili e di vicende avverse che farebbe smarrire chiunque, ma non lui. In tutto questo turbinio, un giovane e inesperto ufficiale dell’antico esercito borbonico si erge come un gigante, forte di un radicato e semplice sentimento di onestà, illumina l’oscurità che avvolge tutto intorno le umane vicende. Fedele sino all’ultimo alla purezza dell’onore, ferito ed esausto, può alla fine orgogliosamente affermare: “Io non ho capitolato”.
“L’alfiere” è anche un romanzo d’amore. Renata, Titina e Ginevra sono tre emblematiche figure che rappresentano i tre diversi stadi della vita sentimentale di Pino. In questi tre personaggi, nel loro intrecciarsi, nell’accavallarsi delle loro immagini, nei differenti stati d’animo che suscitano in Pino c’è tutta la complessità dell’amore: l’amore agognato e non corrisposto, l’amore puro e semplice, l’amore passionale e coinvolgente.
È potente e nitido l’affresco che Carlo Alianello dipinge nel suo romanzo d’esordio. Una narrazione piana e travolgente sino alla tragedia, con un chiaro intento morale, sotteso alla prefigurazione dei mali che affliggono ancor oggi il nostro Mezzogiorno. “L’alfiere” in fondo è il romanzo dei vinti, è il punto di vista, certamente scomodo, di uno Stato secolare che si è dissolto come neve al sole, di un esercito il cui aggettivo borbonico è stato per troppo tempo sinonimo di inefficienza militare e minor tempra morale. Ma stiamo parlando anche della Patria e dell’esercito dell’alfiere Pino Lancia e di coloro che a Gaeta hanno meritato l’onore delle armi.


“Una volta Giordano aveva sostenuto fra i compagni che il coraggio in guerra non era altro se non paura mascherata; che se tutti si fossero tolti la maschera, non ci sarebbero state più guerre al mondo. ‘Giordano’, lo beffava ora qualcuno dei più rischiosi, ‘esiste o non esiste il coraggio in guerra?’. Lui grugniva, ma schietto com’era, non riusciva a negarlo. E allora: ‘Razza di cretino, di …’ e giù una serqua d’epiteti. Per rabbonirlo, gli toccavano il tasto della pattuglia leggendaria: ‘Come fu quella notte, Giordano?’. E Giordano, sebbene l’avesse raccontata tante volte, tornava a narrarla in tutti i minuti particolari, aggiungendone ogni volta di nuovi”.

Giani Stuparich


Ritorneranno
(Il romanzo è in libreria per i tipi Garzanti, al prezzo di euro 9,81)

Giani Stuparich è uno degli scrittori più rappresentativi del panorama letterario triestino. Ha partecipato alla Grande guerra assieme al fratello Carlo (morto nel 1916) e all’amico Scipio Slataper. Della Prima guerra mondiale ci ha lasciato importanti documenti letterari, tra i quali il romanzo “Ritorneranno”. Si tratta di un romanzo piuttosto lungo, scritto con un gusto letterario sobrio e con uno di uno stile descrittivo classico. È la storia di tre fratelli triestini che partono volontari per la Grande guerra, affrontando il rischio di venire catturati e giudicati come traditori dell’Impero austriaco. Sono tre storie parallele, dove emergono le caratteristiche umane di ciascun personaggio e risalta la guerra e la vita di trincea in tutti i suoi aspetti. Intanto a casa sono rimaste le donne della famiglia ad aspettare con ansia il ritorno dei loro cari e a nutrirsi di speranze e di stenti. “Ritorneranno” è un romanzo toccante e profondamente intimo che, pur nella tragica successione degli eventi, esprime sempre un superiore sentimento di serenità e di giustizia. È chiaro l’intento autobiografico e morale dell’Autore che traspare da ogni pagina dell’opera. Tanti i temi che sono sviluppati nel romanzo: l’amor di Patria, il coraggio intrepido, il senso del dovere sino all’estremo sacrifico, la sublimazione del dolore, l’amore familiare, la speranza e la fede. La densità del contenuto viene mirabilmente dipanata con la chiarezza e l’armonia della prosa di Stuparich, mai fine a se stessa e sempre protesa a far risaltare i reali sentimenti umani, ricca di una sensibilità descrittiva non comune. Ritorneranno è un romanzo delicato che tocca le corde del cuore e alleggerisce l’anima, non si compiace dei sacrifici e delle miserie, ma mira ad una superiore composizione delle vicende terrene, alla ricerca di un senso ultimo delle cose. “Ritorneranno” è un romanzo di guerra, e la guerra vive, si muove e si agita la suo interno come la necessaria espiazione di colpe ancestrali, come il doloroso e inevitabile passaggio verso l’agognato compimento di un sogno. Tra le opere letterarie sulla Prima guerra mondiale, il romanzo di Stuparich spicca certamente per originalità, ampiezza di prospettive e chiarezza d’intenti; è sicuramente una delle letture più belle e coinvolgenti di quel particolare periodo storico.

a cura del
Ten.Col. CC Fausto Bassetta