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Corte Costituzionale

Corte Costituzionale Straniero - Reato di reingresso nel territorio nazionale in violazione di un provvedimento di espulsione adottato dal prefetto - Fatto commesso da soggetto già denunciato per il medesimo reato ed espulso - Fattispecie sanzionata come delitto - Ingiustificata equiparazione alla condotta in violazione di un ordine dell’autorità giudiziaria e irragionevole diversità di trattamento fra trasgressori al provvedimento prefettizio in relazione alla mera circostanza dell’avvenuta denuncia - Illegittimità costituzionale.

Corte costituzionale, sent. 14 dicembre 2005 (c.c. 16 novembre 2005), n. 466, Pres. Marini, Rel. Amirante.

È costituzionalmente illegittimo l’art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, risultante dalle modifiche introdotte nel testo dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (e nel testo vigente prima delle modifiche recate all’art. 13 del t.u. dal d.l. 14 settembre 2004, n. 241, convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271), che punisce a titolo di delitto, con la reclusione da uno a quattro anni, lo straniero che, essendo stato denunciato ed espulso per il reato di cui al precedente comma 13 - il quale punisce invece a titolo di contravvenzione, con la pena dell’arresto e l’espulsione con accompagnamento alla frontiera lo straniero che, espulso dal territorio dello Stato, vi rientri senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno -, faccia reingresso nel territorio nazionale. Attribuendo, infatti, alla mera circostanza dell’avvenuta denunzia per il reato di reingresso l’efficacia di trasformare in delitto un comportamento altrimenti costituente reato contravvenzionale, la disposizione censurata si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., atteso che la denuncia è atto che nulla prova riguardo alla colpevolezza o alla pericolosità del soggetto indicato come autore degli atti che il denunciante riferisce, sicché non possono farsi derivare conseguenze pregiudizievoli per il denunciato soltanto dalla denuncia, comportando questa solo l’obbligo degli organi competenti di verificare se e quali dei fatti esposti corrispondano alla realtà e se rientrino in ipotesi penalmente sanzionate, ossia di accertare se sussistano le condizioni per l’inizio di un procedimento penale. (1)

(1) Si legge quanto appresso in sentenza: “Considerato in diritto 1. - Il Tribunale di Gorizia in composizione monocratica solleva, in riferimento agli artt. 2, 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo). Nell’ordinanza di rimessione si premette che l’art. 13 del d.lgs n. 286 del 1998 prevede la pena dell’arresto e l’espulsione con accompagnamento alla frontiera per lo straniero che, essendo stato espulso dal territorio dello Stato, vi rientri senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno. Ciò posto, il remittente sostiene che la norma censurata - la quale commina la reclusione da uno a quattro anni allo straniero che, essendo stato denunciato ed espulso per il reato di cui all’art. 13, comma 13, faccia reingresso nel territorio nazionale - violi i suindicati parametri costituzionali, in quanto irragionevolmente attribuisce alla mera circostanza dell’avvenuta denunzia per il reato di reingresso l’efficacia di trasformare in grave delitto un comportamento altrimenti costituente reato contravvenzionale. 2. - Occorre premettere che, successivamente all’ordinanza di rimessione, il quadro normativo è stato modificato dall’art. 1, comma 2-ter, del decreto- legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271. Per quanto specificamente interessa la questione in esame, la sanzione prevista per il reato oggetto del giudizio a quo è stata aggravata nel massimo (da quattro a cinque anni di reclusione) ed il reato previsto dall’art. 13, comma 13, anche in riferimento al quale il Tribunale di Gorizia ha motivato le sue censure, è stato trasformato da contravvenzione in delitto, con la previsione della pena della reclusione da uno a quattro anni. Tali modifiche, tuttavia, non impongono la restituzione degli atti al giudice remittente in quanto, comportando un aggravamento della posizione dell’imputato - in via immediata per effetto dell’aggravamento della pena ed in via mediata, ma pur sempre rilevante, in conseguenza delle modifiche del quadro normativo di riferimento - esse non sono applicabili al processo a quo, ai sensi dell’art. 2, terzo comma, del codice penale. 3. - La questione riguarda, pertanto, la disposizione nel testo vigente al momento della commissione del fatto contestato e quale viveva nel quadro normativo allora esistente; così individuata nel suo oggetto, essa è fondata con riferimento all’art. 3 della Costituzione. Questa Corte ha recentemente ribadito che la denuncia «è atto che nulla prova riguardo alla colpevolezza o alla pericolosità del soggetto indicato come autore degli atti che il denunciante riferisce» (v. sentenza n. 78 del 2005, ma cfr. anche la sentenza n. 173 del 1997). Di conseguenza, si è ritenuto che non sia possibile far derivare dalla sola denuncia conseguenze pregiudizievoli per il denunciato, in quanto essa comporta soltanto l’obbligo degli organi competenti «a verificare se e quali dei fatti esposti in denuncia corrispondano alla realtà e se essi rientrino in ipotesi penalmente sanzionate, ossia ad accertare se sussistano le condizioni per l’inizio di un procedimento penale». Il legislatore del 2002 formulò la disposizione in scrutinio, con riguardo al sistema normativo all’epoca vigente, trasformando in delitto una fattispecie contravvenzionale per il solo fatto che lo straniero rientrato in Italia fosse stato denunciato per la contravvenzione di reingresso nel territorio nazionale senza autorizzazione ministeriale. Né alcun rilievo può avere la circostanza che alla denuncia era collegata anche l’espulsione perché, nel regime antecedente la sentenza di questa Corte n. 222 del 2004, l’espulsione con accompagnamento alla frontiera era eseguita anche prima dell’eventuale convalida, sicché neppure sotto tale profilo la denuncia era soggetta ad alcuna delibazione. Deve essere quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata nel testo vigente prima delle modifiche introdotte con il d.l. n. 241 del 2004, convertito con modifiche nella legge n. 271 del 2004. Restano assorbiti tutti gli altri profili di censura. per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), risultante dalle modifiche introdotte nel testo dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo)”.

Massima e sentenza tratta dal sito www.cortecostituzionale.it