Ten. Gen. Carlo Jean

Grazie per l’invito e grazie a tutti voi per starmi ad ascoltare. Voglio premettere che sono molto più d’accordo con quello che ha detto il Generale Cabigiosu di quello che ha detto prima il generale Esposito che sembrava estrarre un pò la MSU da quel che è il contesto di un’operazione multinazionale. Io sono stato per 4 anni il personal representatif del Chairman in office dell’ OCSE in Bosnia-Erzegovina e ho visto crescere le MSU. Dal momento che le mie funzioni erano quelle di provvedere al confidence and security buiding major in Bosnia-Erzegovina, ho visto praticamente fondere assieme le tre componenti militari della Bosnia-Erzegovina e cercare di evitare che i maggiori tagliagole esistenti assumessero posizioni di comando, da un lato, e poi quello di provvedere all’arms control in Bosnia, Croazia e Jugoslavia. Il che mi ha dato la possibilità di andare anche in Kosovo immediatamente dopo l’azione aerea della NATO, con il compito essenzialmente di contare il derelict, praticamente le armi che erano state distrutte (a dir la verità, poche) dalle azioni aeree della NATO. Il punto fondamentale è questo, io ritengo che sia questo: ogni operazione, ogni attività, soprattutto un’attività con molte componenti, soprattutto se queste componenti sono multinazionali, deve obbedire a una dottrina di carattere globale.

È ridicolo pensare di fare una dottrina di MSU non inserita in una dottrina di carattere globale e di vedere esattamente cosa si fa allorquando si giunge in quel teatro, prendendo anche spunto dalle sciocchezze, dagli aspetti negativi delle esperienze che si sono avute. In particolare bisogna buttar via tutta quanta la retorica del soldato di pace, della Forza di pace e tutto quanto: il problema fondamentale è il fatto che, per avere la pace, bisogna impiegare la forza e bisogna porre la forza al servizio della legge. Se non si parte da questo concetto e se non si parte da un concetto di “a che cosa serve, che si fa, che cosa si deve fare tutti assieme”, si è completamente fuori quadro. E, in particolare, nulla di nuovo nella storia, soprattutto nella storia militare: io sono quello che insegna cosa si deve fare per stabilizzare - punto primo - un Paese dopo che questo Paese sia stato conquistato o comunque le fazioni più violente siano state messe in tranquillità da un’azione militare. In pratica, si fa un’operazione che è la prosecuzione della guerra con altri mezzi.

Pensare di svincolare una componente, come l’MSU, dal contesto delle operazioni che si svolgono, a mio avviso è un sistema per mettere la MSU non a rischio dei terroristi, ma a rischio di essere impallinata dagli altri componenti della Forza che agiscono sul teatro. Questa è la realtà ed è la realtà che ho vissuto io, nonostante tutta l’ammirazione per la capacità di Leso, di Coppola e così via che ho visto operare in Bosnia veramente facendo onore alle Forze armate, facendo onore all’Italia. Il problema fondamentale è, quindi, abbandonare la mentalità “faso tutto mi”, dall’ordine pubblico al riots control, all’intelligence, andiamo a raccogliere i bambini o ad allattarli (è un po’ difficile, ma col biberon si può sempre fare) e vedere un pochettino come, invece, l’azione deve essere collocata in un contesto di carattere generale. Al ritorno ho dato al generale Santini un piego che ho fatto per il dottor Solana dopo aver finito la mia missione in Bosnia-Erzegovina e che era soprattutto fondato sull’esperienza che io avevo in quanto partecipavo alle riunioni dei cosiddetti princess polls di Sarajevo, a partire dal capo missione dell’OSC, al comandante della SFOR, al Segretario delle NU (che è un tipo abbastanza sveglio e che ha riportato in alto in Bosnia-Erzegovina il prestigio delle NU che, dopo il disastro di Sebreniza, erano scomparse dalla circolazione, almeno nell’animo dei kosovari).

Lì si vedeva, nonostante la capacità dei nostri comandanti e anche la buona volontà degli altri, una difficoltà di coordinamento che è stata messa in luce prima dal generale Cabigiosu. Il territorio viene diviso in settori; nei settori ci sono i “signori della pace” (anziché i “signori della guerra”) che mantengono il controllo; tutto quello che si deve svolgere in quel territorio deve passare sotto il loro controllo, perché altrimenti si fa solamente del caos (e la presenza delle gentili Signore mi impedisce di usare una parola un po’ più sportiva). Questo è il problema fondamentale. Seconda questione: a mio avviso, ciascuno deve fare un determinato lavoro, senza allargarsi nei settori in cui è capacissimo. Quanto meno bisogna realizzare qualcosa di differente dalle MSU, per poterlo fare. Per esempio, il GIS è estremamente importante: in altri eserciti hanno reparti simili, tipo SAS, ecc. E queste sono delle operazioni che vengono sviluppate soprattutto nella prima fase, dopo le operazioni militari vere e proprie, prima fase in cui l’ordine, la sicurezza pubblica (chiamiamolo ordine, più che sicurezza pubblica) è il primo punto su cui è concentrata l’attenzione delle Forze internazionali.

Secondo punto è law & order, ma nel secondo punto si cominciano a vedere un pochettino di strutture che funzionano, cominciano ad esserci dei responsabili locali. Questi responsabili locali cominciano a funzionare, a collaborare; si cominciano ad arruolare interpreti, perché senza conoscere la lingua locale, senza conoscere la cultura giuridica locale, senza avere giudici e senza avere prigioni, come si faccia un’attività di polizia di tipo investigativo, di tipo normale, a mio avviso è un’astrazione completa. Ne ho avuto l’esperienza in Kosovo, proprio all’inizio, dove c’erano i reparti tedeschi che obbedivano alla legge tedesca: dopo due giorni di detenzione, per esempio, dovevano rimettere in libertà i kosovari che prendevano, armati, verso la Macedonia. D’altra parte, non sapevano a chi darli, perché non c’era nessuno a cui consegnarli, poiché non c’erano né un sistema giudiziario, né sistemi di prigioni. Con il buonsenso hanno trovato un escamotage: visto che gli inglesi, anziché tenerli 2 giorni, li tenevano 18 giorni, li davano agli inglesi.

Così gli inglesi li passavano da unità a unità e dopo 4 mesi erano ancora lì. Questa è la realtà in cui si deve agire e, a mio avviso, questa realtà richiederebbe che questa dottrina, queste norme generali dell’MSU non solamente siano flessibili - come ne ha sottolineata l’esigenza il generale Cabigiosu - ma debbano permettere una larghissima precisazione a seconda della situazione locale (le esigenze di sicurezza in Bosnia non sono le stesse che in Iraq, per esempio). Per ottemperare a questa esigenza di flessibilità, sono i Carabinieri che si deve vedere come possano rendere al massimo. Qui il loro rendimento è altissimo, proprio come li avevo visti in Bosnia con Leso e Coppola: hanno fatto veramente onore all’Arma e all’Italia. Ma devono essere collocati in un sistema coerente, perché attualmente, a mio avviso, sono ancorati a uno sbandamento completo. Lì, la dottrina in quanto tale è proprio da inventare o è già stata scritta? Non ci sono libri di storia che parlano della pacificazione di popolazioni. E in particolare, a mio avviso, il riferimento migliore è il libro del Maresciallo Lyautey (il pacificatore del Marocco, di cui vedete ancora le statue erette a Casablanca, a Rabat e così via, perché lo ricordano con piacere: ha veramente pacificato il Marocco), “La fonction sociale de l’officier de l’Armée Coloniale”.

Lo schema fondamentale della dottrina dovrebbe essere questo. Dopo di che ciascuno, nella dottrina, si ritaglierà il suo spazio. Quello che volevo dirvi come ultima cosa è che questa unicità di dottrina, questa coerenza deve essere mantenuta come si mantiene l’unicità di comando. E deve esserci un comandante per volta. Il caos della Bosnia e il fatto che dalla Bosnia non riusciamo a venire fuori o a stabilizzarla è dovuto in gran parte al fatto che le autorità civili innanzitutto erano sdoppiate. C’era l’Aja representative che era molto in gamba; l’ex Primo Ministro svedese che era in rotta di collisione con la NATO e che voleva fare il guerriero per conto proprio. La missione dell’OSCE andava per i fatti suoi. Qualche volta il patriottismo istituzionale ci portava a fare lo sgambetto ad altre istituzioni (devo riconoscere che ho peccato anch’io) perché non c’era uno che comandasse veramente e che desse un’addrizzata ogni volta che si facevano queste cose.

L’unità di comando, a mio avviso, deve essere rivista completamente alla luce anche delle norme delle Nazioni Unite, del dictat of peacekeeping operations delle Nazioni Unite, perché quelle che sono state alcune regole elaborate dalla NATO, danno troppa centralità alla NATO. Quali sono le fasi che si succedono nel peacekeeping? La prima fase è quella dell’ordine e, a mio avviso, lì non c’è niente da fare: gli unici che possono operare sono i comandi militari che hanno anche a disposizione i sistemi logistici e i sistemi di comunicazione tali da poter assicurare questa unità di comando di tutte le Forze, militari, di polizia, polizia militare, non c’è bisogno di precisarlo: pensate che in Iraq, adesso, ci sono 14.000 poliziotti di compagnie private che assicurano la sicurezza, l’ordine. Seconda fase: le autorità civili sicuramente devono subentrare al comando, anche in ossequio al nostro sistema politico democratico. La fase che io vedo più delicata è quella di raccordo. In questa fase di raccordo, a mio avviso, le MSU devono essere ancor più presenti, perché in questa fase - in cui c’è law & order - la parte order è prevalente per le MSU.

La parte law, invece, è prevalente per quello che l’organizzazione tipo International police task force e, a parer mio, in questa fase estremamente delicata di coordinamento qualsiasi sovrapposizione di MSU con compiti dell’ International police task force crea un caos indescrivibile. Nei 3-4 anni che ero in Bosnia c’è stato un brigadier generale della Gendarmeria francese (si chiamava Vincent Coerderoi) che agiva nell’ambito della missione delle Nazioni Unite alle dipendenze di Jacques Klein e che aveva una notevole esperienza ed anche una notevole capacità di osservazione di quello che accadeva e credo che queste sue osservazioni fossero molto importanti per stabilire delle guidelines da seguire. Beninteso, queste mie osservazioni che sono state volutamente anche un pochettino sullo sportivo, abbastanza marcate (mentre ho visto che il generale Cabigiosu è un fine diplomatico), sono volte soprattutto a valorizzare quello che è un apporto fondamentale - a mio avviso - che a questi interventi dell’Italia può dare l’Arma dei Carabinieri. Un’altra piccolissima e ultimissima annotazione: in che cosa consiste la stabilizzazione del Paese?

Consiste sostanzialmente nel recuperare il collegamento tra i signori della guerra, i tagliagola di queste guerre civili, etniche, tribali, mafiose (quel che si vuole) e il territorio e l’economia. Il punto più delicato di questa criminalità-terrorismo è l’aspetto finanziario. A mio avviso, l’Italia non utilizza sufficientemente l’apporto che può dare un’altra Forza di polizia (che costituisce un po’ un’anomalia italiana, in un certo senso) che è la Guardia di finanza, anch’essa ad ordinamento militare. È assolutamente essenziale (gli americani usano l’FBI per questo, la branca finanziaria dell’FBI) impiegare a massa quelle che sono queste nostre possibilità, anche per il fatto che - a parte gli interessi di sicurezza, a parte la volontà di portare nel mondo la pace e tutte quelle cose che si vogliono dire - ci sono anche degli interessi nazionali in futuro da tutelare, che evidentemente possono essere meglio tutelati qualora negli organi di pianificazione finanziaria ed economica dei nuovi governi ci sia gente nostra. Gli americani lo fanno molto bene; lo fanno molto bene anche gli inglesi, per i fatti loro. Altri Paesi non li ho visti farlo proprio sistematicamente, ma a mio avviso c’è - nella Guardia di finanza - una potenzialità da utilizzare completamente a questo riguardo.

Concludo ringraziando ancora dell’invito, esprimendo la mia ammirazione per gli ufficiali, i sottufficiali e i carabinieri che ho visto impiegati in Bosnia (nelle altre parti non li ho visti), compresi quelli di Monster, e sottolineando che, se la dottrina non viene fatta in maniera unitaria, in maniera compatta, se non viene assicurata una unità di comando che superi il paradosso del coordinamento (paradosso del coordinamento significa che tutti vogliono essere coordinati, chiedono di essere coordinati, però nessuno si vuol far coordinare da un altro), credo che la situazione incerta, imprevedibile, in movimento, come quella che si determina soprattutto allorquando si occupa un territorio, serva solo per fare caos e per non risolvere niente. Grazie.


(*) - Trascrizione da registrazione audio corretta dall’autore.
(**) - Tenente Generale (aus) dell’Esercito.