Ten. Gen. Carlo Cabigiosu

Prima di esaminare le possibili prospettive per il futuro, vorrei ripercorrere rapidamente, sulla base delle mie esperienze operative, il cammino compiuto dai Carabinieri impegnati in missioni di pace. All’inizio l’MSU ancora non esisteva, qual era il caso della missione IFOR in Bosnia, dove per la prima volta ho incontrato i Carabinieri, quale vice comandante dell’ARRC. Uno dei primi personaggi che incontrai, sul tetto dell’ospedale Zedra a Sarajevo, dove era alloggiata la Brigata Garibaldi italiana, fu l’allora tenente colonnello Leso, dietro una mitragliatrice 12,7 puntata verso quelle che fino a pochi giorni prima erano le linee serbe. Da quella visione di un reparto di Carabinieri paracadutisti inserito nella Brigata Garibaldi come reparto di polizia militare italiano, il cui Comandante era il consulente principale della Brigata per quello che riguardava gli aspetti della sicurezza del contingente, ho visto poi trasformarsi la presenza dei Carabinieri nei vari teatri del peacekeeping in MSU a prevalenza italiana, poi sempre più multinazionale e l’ho vista adesso, in Iraq, come MSU multinazionale inquadrata, però, in un ambiente operativo completamente diverso quale quello dell’Iraq di oggi. Da queste esperienze debbo dire che (ed è risultato dai vari interventi che si sono succeduti tra ieri e oggi) è senz’altro vero che una dottrina d’impiego delle MSU ancora deve venire.

Finora c’è stata un’evoluzione bottom up, avvenuta soprattutto sulla base di spinte interne all’MSU, grazie all’impegno dei vari comandanti che si sono succeduti e che hanno spostato l’accento dalla funzione iniziale dell’MSU di solo area control verso altre missioni che sono più specifiche per un corpo militare che abbia anche capacità di polizia. Le missioni assegnate all’MSU sono normalmente definite nei piani operativi che vengono redatti dalle autorità di pianificazione nazionale in concerto con quelle dell’Alleanza. Infatti l’MSU - salvo quella che c’è oggi in Iraq - ha sempre agito nel contesto della NATO, ma da parte dell’Alleanza non si è mai fatto molto per cercare di riconoscere a questa Forza quello che è il suo merito principale, ossia la capacità di chiudere il gap temporale e funzionale tra la fase in cui il controllo del territorio è condotto sotto l’egida di unità militari tradizionali e il momento della piena restituzione della responsabilità della gestione della sicurezza e della giustizia ad organismi civili. L’esperienza dei Balcani è stata senz’altro un importante banco di prova per l’MSU ma, entro una certa misura, ne ha anche cristallizzato lo stato alle esigenze e condizioni di quel particolare teatro operativo.

Non bisogna dimenticare che, nel caso del Kosovo, KFOR agisce su un territorio che è grande la metà della Sardegna e che ha due milioni di abitanti. Quindi direi che il Comandante provinciale di Roma, tutto sommato, ha un compito più difficile di quello che possa avere il Comandante dell’MSU di Pristina e quasi analoga è la situazione per quello che riguarda la Bosnia. Queste dimensioni, ovviamente, hanno reso fattibile l’espansione delle missioni assegnate all’MSU che via via si sono aggiunte a quella iniziale del crowd control. Diverso è il caso in cui, invece, il territorio di competenza si debba ampliare ulteriormente. È importante, quindi, definire meglio la selezione dei compiti che possono essere svolti dall’MSU perché, ovviamente, c’è un riscontro diretto su quella che poi è la costituzione del reparto e la capacità delle varie componenti di interagire. Ritengo inoltre necessario approfondire meglio le differenze di attitudine e di capacità operativa tra le gendarmerie (come può essere l’Arma dei Carabinieri o quella francese o la Guardia Repubblicana portoghese o la Guardia Nazionale spagnola), e quelle unità che invece sono di polizia militare dedicata prevalentemente al controllo sull’operato dei militari della propria nazione.

Ancora diversa è la military police, così come viene invece intesa negli Stati Uniti, dove i battaglioni di MP sono una specialità della fanteria che, oltre ad assolvere eventualmente compiti di polizia militare in senso lato, svolge anche - particolarmente oggi in Iraq - compiti di combattimento negli abitati o di counter insurgency. E, oltre a questo, bisogna anche esaminare eventualmente se c’è una capacità della fanteria leggera di entrare nel contesto di una MSU, per quei Paesi che non dispongono né di gendarmerie né di military police, ma che vogliono comunque partecipare: cosa che abbiamo già visto qui ieri, per esempio, con il caso dell’Ungheria che assegna all’MSU una compagnia meccanizzata. L’MSU, però, nel corso di questi anni di impegno nei vari Teatri del peacekeeping, ha evidenziato che esistono anche delle difficoltà legate alla natura stessa delle sue funzioni. Quando si parla di MSU impiegata per il crowd control, sono tutti felici di vederla arrivare: qualunque comandante di settore l’accoglie a braccia aperte perché, specialmente nel caso dei Balcani, la situazione più pericolosa per un reparto militare tradizionale è proprio quella di contrapporsi a una folla che sta svolgendo delle attività ostili nei confronti di un’altra fazione, di un gruppo etnico o dei militari stessi.

Quindi, ben contenti tutti i comandanti di tutte le nazionalità quando il Comandante in capo di quella particolare missione, visto quello che sta succedendo, manda l’MSU, la mette sul ponte del fiume Ibar a Mitrovica o in qualche hot spot della Bosnia e i Carabinieri tolgono le castagne dal fuoco al comandante del contingente responsabile di quel settore. Ben diverso, invece, è il caso in cui l’MSU incominci ad operare per tutto il territorio, superando quelli che sono i limiti di settore delle singole brigate, come ad esempio avviene in Kosovo. Allora incominciano le sensibilità dei vari comandanti, con commenti del tipo: “Oh! Ho visto in giro una pattuglia dell’MSU oggi nel mio settore. Cosa ci viene a fare? Non ha preso contatti con il mio comandante di battaglione, responsabile di quella particolare area!”. E quindi nascono dei problemi di coordinamento perché una Forza che ha una competenza su tutto il Teatro operativo, che supera - quindi - i limiti di settore delle varie brigate ecc., può inevitabilmente urtare la suscettibilità dei comandanti dei settori, che vogliono sapere cosa si viene a fare, quale tipo di indagine stia conducendo l’MSU, a chi riporta questi risultati.

Infatti l’MSU, essendo uno strumento (vedasi Bosnia e Kosovo) alle dirette dipendenze del Comandante in capo, è vista talvolta come uno strumento ispettivo che possa mettere in evidenza delle lacune che non sono state sufficientemente investigate dal comandante della brigata responsabile del settore. Non solo. Nel momento in cui nel teatro sia presente anche una international police force che fa capo alla catena di comando civile, la necessità di uno stretto coordinamento nasce anche con tale autorità. Un’ulteriore sovrapposizione infine può sorgere nel momento in cui vengano attivate anche Forze di polizia locali. Se tutte queste possibili sinergie non vengono ben dirette è facile che si creino antagonismi che certamente non favoriscono lo svolgimento del compito. Un altro elemento che ha una sua rilevanza è il fatto che l’MSU è una unità che ha avuto, fino ad ora, una caratteristica spiccatamente nazionale, italiana.

Questo, ovviamente, comporta che una MSU automaticamente abbia un comandante italiano; il che - in un quadro di legittima ambizione di altri Paesi - può talvolta limitare il desiderio di entrare a farvi parte a meno che non si possa acquisire nella sua struttura anche una rilevante presenza nel nucleo comando e che non si possa adeguatamente influire sul decision making process. Di conseguenza questa specie di brevetto italiano su questa magnifica invenzione che è l’MSU può talvolta essere la causa di qualche difficoltà nel conferire alla MSU quella multinazionalità veramente totale che invece, nel mondo delle operazioni di oggi, soprattutto gli stati di maggior peso si aspettano. Un’altra cosa da mettere in evidenza è il fatto che, quando l’MSU opera nel settore delle attività di polizia vere e proprie, soffre della carenza di un codice di procedura e di un corpo di leggi riconosciuto da tutti. Molto spesso, quando si va in queste aree di crisi, la legge invece non esiste, ce la dobbiamo fare noi.

n tal caso si può operare con riferimento alle regole di ingaggio, adottando riferimenti esclusivamente militari, coperti da quella facoltà che viene data al Comandante dal mandato della missione, ovvero di garantire nel senso più generale del concetto di legalità, un safe and secure environment. Quindi ogni personaggio che costituisca una minaccia all’implementazione di questo principio può essere arrestato e detenuto. Questa parola chiave “detenere” determina, poi, un’altra serie di problemi. Se invece si vuole esercitare la funzione di polizia nel termine civile della parola, occorre avere delle leggi di riferimento. Nel momento in cui qualcuno viene arrestato si deve procedere secondo criteri accettabili anche dai codici civili delle rispettive nazioni che formano l’MSU. Noi - come italiani - potremmo anche decidere di consegnare un arrestato al comandante di brigata statunitense che abbia nella sua organizzazione un centro di detenzione. Ma ci possono essere altre nazioni che obiettano, in quanto secondo le loro leggi nazionali non è possibile passare all’autorità di terzi un individuo che per qualsivoglia motivo sia stato fermato. Poi si trovano sempre delle soluzioni: in Kosovo, per esempio, la polizia internazionale aveva realizzato delle carceri in cui gli arrestati dall’MSU potevano essere detenuti nel rispetto di regole riconosciute dalla comunità internazionale.

Tuttavia il passaggio dell’arrestato alla magistratura civile (o a un ordinamento civile) richiede che il suo giudizio venga sostenuto da prove. E a questo punto il problema si può ulteriormente complicare perché la raccolta di prove si può fare in un certo modo, ha bisogno di certi strumenti che non sempre, in un teatro di operazioni di questo tipo, sono disponibili. Poi c’è un altro aspetto ancora: l’attività investigativa dell’MSU si deve in qualche modo interfacciare con l’attività di intelligence condotta dagli organismi a ciò preposti del contingente multinazionale responsabile dell’area. E qui, e i Carabinieri questo lo sanno bene, non è sempre facile trasformare una notizia di intelligence in una prova giuridica. In sintesi l’attività di MSU è estremamente delicata e, proprio per questo, richiede che a monte vi sia un chiaro riferimento di impiego costituito da una dottrina da tutti condivisa.

Siamo ancora a questo punto perché molte di queste cose che ho indicato non sono ancora state sufficientemente approfondite nella normativa, in corso di elaborazione o già esistente, da parte degli organismi sopranazionali (come la NATO, l’ONU, l’UE) ed ecco che ci troviamo di fronte al caso dell’Iraq. Il caso dell’Iraq apre tutta una nuova serie di prospettive. Prima di tutto, abbiamo già accennato alle dimensioni ridotte della Bosnia e del Kosovo, che hanno consentito un certo concetto d’impiego dell’MSU: qui ci troviamo invece di fronte a un teatro di operazioni che, tolti i deserti, è grande più o meno come l’Italia, ha 25 milioni di abitanti ed è suddiviso in 6-7 settori. Sulla base delle attuali dimensioni di una MSU, di livello reggimento, circa 6-700 persone compresi i nostri alleati portoghesi e rumeni, mettere questa Forza alle dirette dipendenze del Comandante del Teatro operativo non avrebbe senso. Bisogna fare delle scelte. Bisogna decidere e, nel nostro caso, questa volta è stato deciso di tenerla nella provincia affidata agli italiani con il non indifferente vantaggio di poter disporre di un reparto da poter dedicare quasi esclusivamente al fiancheggiamento e controllo delle Forze di polizia locali.

Ma se si vuole espandere il concetto e rafforzare alcune idee che ci sono, che l’MSU nella posizione ideale debba essere uno strumento alle dipendenze del comandante di Teatro, bisogna fare anche qualche considerazione sulle dimensioni, sul contributo che può venire dagli altri Paesi, su una dottrina che preveda che l’MSU sia un’entità assai più complessa dell’attuale sia sul piano ordinativo, sia sul piano dell’impiego. Inoltre, in Iraq c’è anche il problema della force protection. L’attività di polizia dovrebbe essere condotta a piccoli nuclei, altrimenti diventa un’attività paramilitare più che di polizia, ma oggi non è pensabile di condurre la propria attività con una Land Rover con 3 Carabinieri che vanno a parlare con i bottegai per raccogliere informazioni o che vanno a farsi un giro in un certo villaggio, perché la minaccia è troppo elevata. Quindi bisogna costituire nuclei di Forze che muovendosi sul terreno abbiano un minimo di capacità di self-defence. E questo condiziona le attività che possono svolgere le MSU. Inoltre anche la protezione delle basi assume una nuova dimensione, non è più un fatto marginale, come in Kosovo e in Bosnia dove gli accantonamenti in cui sono alloggiate le MSU godono praticamente di una difesa simile a quella che può avere una nostra caserma in Italia.

In Iraq c’è un problema di difesa perimetrica, di osservazione del territorio circostante, di pattugliamento intorno all’area per prevenire l’eventuale collocazione sugli itinerari di accesso di ordigni esplosivi comandati a distanza. È un impegno gravoso: chi lo fa? Se lo fanno le MSU, con le dimensioni che noi conosciamo, ben poco resta loro di capacità operativa per condurre altri compiti. Anche il contatto con la popolazione civile diventa più difficile, perché chiunque può essere un avversario che compie azioni ostili: quindi la pattuglia, anche una volta appiedata, si deve muovere con estrema cautela. È successo, a Baghdad, che macchine militari, ingolfate nel traffico, si siano dovute fermare; uno dei militari scende col fucile imbracciato per dare sicurezza, si guarda intorno; da dietro un’altra macchina sbuca uno, gli punta la pistola al collo e lo uccide. È vero che non è dappertutto così. È vero che questi sono casi eccezionali, ma il discorso non si può paragonare a quello che siamo abituati a vedere nel teatro balcanico. Ritengo che, comunque, il concetto di MSU con capacità di svolgimento di tutta la gamma delle possibili azioni di polizia, sia un concetto molto importante e valido, ma che vada però accompagnato da quella flessibilità che più volte è stata indicata ieri e stamattina in vari interventi: cioè, laddove ci siano delle situazioni particolari, bisogna che i compiti siano definiti in base alla situazione del posto.

Può darsi che in alcune circostanze il compito più importante delle MSU divenga, ad esempio, quello dell’addestramento delle Forze di polizia locali; nel qual caso la loro composizione dovrà essere rispondente a questi compiti. Se ci sono altre esigenze dovranno essere adeguatamente valutate, per non disperdere le capacità specifiche delle MSU in compiti che sanno fare anche altri normali reparti di fanteria. Ci può essere sempre la parte di monitoring, mentoring e training delle unità di polizia locale, perché è un compito specifico e si può svolgere in un ambito che garantisce certe condizioni di sicurezza. L’attività investigativa deve essere, invece, meglio configurata. La parte che possono fare unità speciali, come elementi del GIS, va sempre bene perché certe persone che devono essere arrestate possono essere arrestate solo con quello strumento e lo si fa meglio che non usando pattuglie di fanteria. In conclusione intendo ribadire che ogni situazione operativa presenta ampi spazi per l’impiego di MSU, ma che è altrettanto importante definire volta per volta qualisiano i compiti prioritari ai quali dedicare le sue risorse.

Grazie.


(*) - Trascrizione da registrazione audio corretta dall’autore.
(**) - Tenente Generale (aus.) dell’Esercito Italiano.