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Conclusioni

Natalino Ronzitti (*)

Io ringrazio il CASD ed il Dott. Intelisano per questo invito che mi è stato fatto a trarre le conclusioni di questo convegno. Ho ascoltato con attenzione le pregevoli relazioni che sono state svolte questa mattina e direi che vi sono state due opinioni nettamente contrarie, e forse qualcuna intermedia; da una parte c’è stata un’adesione entusiasta allo Statuto della Corte penale internazionale, dall’altra ci sono state voci fortemente critiche e fondate su problemi di diritto costituzionale, come la relazione svolta dal Prof. Mazziotti. Ora io non voglio entrare nel merito dell’una o dell’altra tesi, dico solo che un dibattito si sta sviluppando ora e che questo dibattito sarebbe stato necessario che si sviluppasse prima, quando si stava negoziando lo Statuto della Corte penale internazionale. Purtroppo c’è stata questa adesione entusiasta a questa giurisdizione internazionale, ed abbiamo visto che ora alcuni nodi vengono al pettine.

Si è detto che non c’è niente da fare: teoricamente lo Statuto della Corte penale internazionale ammette che uno Stato-parte possa recedere, ma ovviamente questa è una via politicamente impercorribile. Più percorribile probabilmente è la via della revisione dello Statuto dopo sette anni, quando verrà presa in considerazione questa revisione; è un modo di comportarsi per alcuni Stati nelle relazioni internazionali e tra l’altro taluni di essi, già prima dell’entrata in vigore di una Convenzione internazionale, pensavano alla loro revisione e faccio riferimento per esempio alla Convenzione delle Nazioni Unite che alla fine ha trovato un punto di consenso con la revisione della parte undicesima della convenzione, che andava contro alcuni principi essenziali della Comunità internazionale e dell’economia di mercato.

Detto questo io voglio fare riferimento a due principi di carattere storico: siccome qua è stata evocata spesso e volentieri la storia della giurisdizione penale internazionale, devo dire che un tempo vigeva nei trattati di pace questa clausola di amnistia per cui i belligeranti si esentavano reciprocamente dal punire i crimini di guerra; successivamente questo modo di essere del diritto internazionale è stato superato, dando al vincitore il diritto di processare e prova ne siano i processi di Norimberga e di Tokio. Occorre anche ricordare che mentre il processo di Norimberga è fondato su uno Statuto cioè su un accordo internazionale, per quanto riguarda il processo di Tokio questo è fondato su un’ordinanza che il generale MacArthur, se non vado errato, promulgò non appena il Giappone fu occupato. Questo modo di essere delle relazioni internazionali credo sia stato superato in positivo con l’adozione dello Statuto della Corte penale internazionale. Ciò per vari motivi: in primo luogo questa Corte non è stata istituita ex post facto, come sono stati istituiti i tribunali per il Ruanda e per la ex Jugoslavia e in secondo luogo, questo Statuto contiene un codice penale internazionale uniforme.

Ecco noi possiamo far riferimento agli artt. 6, 7, 8 dello Statuto per individuare quelli che sono il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra. Inoltre è importante il principio democratico: questa Corte è fondata su un trattato internazionale, e non su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, perché 15 membri fanno parte del Consiglio di Sicurezza, e tra essi hanno la primazia, come tutti loro sanno, i membri permanenti. Non credo che sia molto conforme al principio dell’eguaglianza degli Stati che questi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza possano produrre diritto per tutta la comunità internazionale. Detto questo, però ci sono alcune ombre per quanto riguarda l’effettività dei tribunali internazionali. Intanto per quanto riguarda la loro produzione relativamente ai processi e per quanto riguarda i loro costi. In un articolo che io ho pubblicato l’anno scorso sull’annuario di politica internazionale scrivevo che nei suoi 8 anni di esistenza il tribunale dell’Aja ha potuto giudicare solo 31 persone; le cose non vanno meglio per il tribunale per il Ruanda.

Il genocidio del Ruanda ha causato nell’arco di 100 giorni circa 800 mila vittime. A fronte di tali crimini il tribunale ha potuto emanare solo otto sentenze nei confronti di nove imputati nel periodo tra la sua istituzione e la fine del 2001 come si desume dal rapporto che è stato trasmesso al Segretario Generale delle Nazioni Unite. In totale le persone detenute sono 48, otto sono già state giudicate e per quindici il giudizio a quei tempi era ancora in corso e i costi di questi due tribunali non sono indifferenti. L’altra questione riguarda la parzialità di questi tribunali, perché è vero per quanto riguarda il tribunale per la ex Jugoslavia è il tribunale che è stato istituito post facto, ma secondo alcuni ha giudicato anche un po’ a senso unico, e mi riferisco ai bombardamenti della Nato nella ex Repubblica federale jugoslava dove dal mio punto di vista non è stato commesso nessun illecito internazionale. Però il procuratore aveva il dovere di iniziare un’inchiesta e non lo ha fatto; ha fatto invece qualcosa di diverso: ha commissionato ad un Comitato un rapporto e questo rapporto, che è uscito da questo Comitato di persone di cui non si conosce il nome, ha concluso che non era necessario aprire un’inchiesta perché il diritto non era abbastanza chiaro.

Per un giudice internazionale, così come per il giudice interno, il diritto è chiaro, non esiste un non liquet non solo nella giurisdizione interna, ma anche nella giurisdizione internazionale. I tribunali interni normalmente svolgono questa opera di repressione dei crimini internazionali nella misura in cui ovviamente si affidano a delle norme che sono di carattere realistico. Tutti noi ricordiamo quello che è avvenuto con la legge belga ispirata al principio della universalità della giurisdizione. Questa legge belga è stata ultimamente sconfessata dalla Corte internazionale di giustizia in un caso in cui era stato incriminato un Ministro in carica, e se si arriva al punto di incriminare delle persone che mettono piede per svariati motivi nel territorio di uno Stato, anche se non c’è nessun collegamento tra il crimine commesso e quel determinato Stato, per quanto riguarda la conformità dello Statuto alla Costituzione italiana, noi abbiamo già sentito dal Prof. Mazziotti che ci sono dei problemi non indifferenti.

Devo dire che altri Paesi si sono comportati in maniera differente specialmente per quanto riguarda le immunità del Capo dello Stato; la Francia per potersi adattare allo Statuto della Corte penale internazionale ha adottato una legge di revisione costituzionale, cosa che noi non abbiamo fatto. Però sono problemi che un domani verranno fuori e credo che in un eventuale procedimento qualche eccezione di costituzionalità sarà sollevata. Noi abbiamo ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale, e quindi dobbiamo produrre l’enorme riadattamento a questo Statuto, perché un cattivo adattamento sarebbe pericoloso, nel senso che lo Stato italiano potrebbe essere accusato di non volere processare certe persone. Quindi io credo che sotto questo profilo bisogna stare molto attenti, e credo che sia necessario procedere con la massima cautela e non con la fretta, con la fretta con cui ad esempio si è proceduto a osannare questo Statuto della Corte penale internazionale. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, come tutti loro sanno e come ci ha detto il Comandante Caffio, hanno in un primo tempo firmato lo Statuto, ma poi hanno espressamente affermato che non lo avrebbero ratificato: questo per evitare le conseguenze dell’art. 18 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, cioè per non essere accusati di vanificare l’oggetto e lo scopo del trattato.

Uno Stato che ha semplicemente firmato lo Statuto ha questo obbligo; questo obbligo viene meno nel momento in cui lo Stato afferma che non intende ratificare un trattato internazionale e così gli Stati Uniti hanno fatto. Risoluzione delle Nazioni Unite Ovviamente è in contrasto con lo Statuto la risoluzione del Consiglio di Sicurezza con cui si esentano i peace keepers statunitensi o di altri Stati che non hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale: praticamente una risoluzione del Consiglio di Sicurezza viene a emendare lo Statuto della Corte penale internazionale. Ma questo produrrà delle conseguenze a mio avviso più gravi, perché disegna già un conflitto tra quella che può essere la politica del Consiglio di Sicurezza e quella che sarà la politica della Corte penale internazionale. Perché ci possono essere dei casi in cui, per questioni di pacificazione sociale, è bene non processare determinati crimini, e il Consiglio di Sicurezza, nella sua discrezionalità, proprio allo scopo di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, può procedere su questa via, mentre lo Statuto della Corte penale internazionale non attribuisce al Consiglio di Sicurezza questi poteri, ma solo un potere sospensivo: questa sospensione può avvenire solo per dodici mesi, ma poi le persone debbono essere processate.

Quindi io già prefiguro, in certi casi in cui è necessaria una pacificazione sociale, questo conflitto tra Consiglio di Sicurezza e Corte penale internazionale. Imparzialità del procuratore Il procuratore della Corte penale è indipendente, però le preoccupazioni di quegli Stati i quali affermano che la Procura può essere usata per motivi politici non sono infondate o comunque noi possiamo dire che un’incriminazione, anche se ci sono tutti i paletti che già ci ha spiegato la Prof.ssa Caracciolo, può produrre delle conseguenze politiche piuttosto gravi. Ricordiamoci che Milosevic fu incriminato nel momento in cui la Nato iniziò le operazioni contro la ex Jugoslavia. Ora immaginiamoci un Capo di Stato di una potenza occidentale che sia incriminato dal Procuratore nel momento in cui si inizia un’operazione bellica: ci possono essere tutti i paletti che vogliamo, quest’azione può essere bloccata sotto il profilo giuridico, però sotto il profilo politico ciò può produrre delle conseguenze abbastanza gravi.

Di amnistia e pacificazione ho già parlato ed è uno dei motivi per cui gli Stati Uniti non prevedendo questa amnistia non hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale. Voglio fare solo una chiosa per quanto riguarda il fatto che la Corte si occupa solo dei crimini più gravi o comunque dei crimini commessi su larga scala: e questo ha per oggetto tutti i crimini rientranti nello Statuto ed ha per oggetto anche i crimini di guerra. Ciò non toglie che la Corte penale internazionale potrebbe interessarsi anche di un singolo crimine perché è detto espressamente nell’art. 8 che la Corte penale internazionale si occupa in particolare dei crimini di guerra commessi su larga scala: ciò non toglie che potrebbe occuparsi anche di un singolo crimine. Convenzioni penali internazionali e rispetto dei diritti umani Questo è un punto fondamentale, che evoca attualmente quello che si sta facendo per la lotta al terrorismo internazionale, che non è compreso tra i crimini espressamente previsti dallo Statuto dalla Corte penale internazionale.

Però alcuni atti di terrorismo potrebbero rientrare tra i crimini contro l’umanità, come ad esempio le stragi commesse l’11 settembre negli Stati Uniti; ma quello che non bisogna dimenticare è che i diritti umani debbono essere rispettati, e a questo riguardo tanto il Consiglio d’Europa quanto l’organizzazione degli Stati Americani hanno affermato che nel compilare, nell’adottare questi strumenti contro il terrorismo internazionale, bisogna tenere sempre presente il rispetto dei diritti umani e dei trattati sui diritti umani cui gli Stati sono vincolati. Vi è un crimine, che è menzionato nello Statuto della Corte penale internazionale, però non è stato ancora codificato, ed è il crimine di aggressione. Questo è un crimine molto grave: allo scopo di poter far rientrare questo crimine nella competenza della Corte occorre un emendamento allo Statuto e se noi ci ricordiamo che l’Assemblea Generale ha impiegato, se non vado errato, 24 anni per produrre una risoluzione sulla definizione di aggressione che non ha carattere vincolante, ma serve solo da guida al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non so quanto tempo si impiegherà per poter codificare il crimine di aggressione nello Statuto della Corte penale internazionale.

A questo riguardo, infatti, occorre adottare la procedura di emendamento e occorre che questo emendamento sia ratificato dagli Stati-parte per poter entrare in vigore. Quindi le discussioni stanno andando avanti sul crimine di aggressione, ma credo che queste discussioni continueranno a lungo prima che possa essere trovata una soluzione soddisfacente. C’è, diciamo, tutta un’opinione favorevole alla codificazione di questi crimini e addirittura mi piace ricordare come nel primo progetto sulla responsabilità internazionale si faceva una distinzione tra crimini internazionali dello Stato, come se una persona giuridica potesse delinquere, e crimini internazionali dell’individuo e fortunatamente questa distinzione per l’opposizione di alcuni Stati, e in particolare Francia, Stati Uniti e altri Stati è stata completamente cancellata e nel progetto di articoli sulla responsabilità internazionale non ne troviamo più traccia. Io credo che spesso si fa una confusione tra quello che è lo stato come soggetto di diritto interno e quello che è il diritto della comunità internazionale.

Non esiste lo stato mondiale, non esiste la civitas maxima: gli stati sono sovrani, gli stati sono eguali tra di loro ed è molto difficile inserire degli elementi di carattere statuale, come in fondo è questa Corte penale internazionale, in un sistema che ancora obbedisce a quella che è la sovranità degli stati. E vorrei concludere a questo riguardo facendo qualche riflessione sul diritto di usare la forza nelle relazioni internazionali, diritto che è stato costretto dalla carta delle Nazioni Unite nella legittima difesa o nell’autorizzazione data dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, come se cinque membri permanenti potessero decidere per tutta la comunità internazionale. Vedo nelle recenti operazioni belliche, in quelle che si dicono essere programmate, un ritorno al passato con dei limiti, non un ritorno al passato con un illimitato jus ad bellum, ma con uno jus ad bellum che trova un limite fondamentale. Al di là di questo io credo che noi dobbiamo un po’ ripensare a tutto il diritto della comunità internazionale per quanto riguarda l’uso della forza nelle relazioni internazionali e dobbiamo ben riflettere, e mi fa piacere questo dibattito che c’è stato questa mattina sul modo con cui noi abbiamo aderito allo Statuto della Corte penale internazionale. Una riflessione che ci potrà essere utile quando tra sette anni dovrà essere rivisto lo Statuto della Corte penale internazionale.

Approfondimenti:

(*) - Docente di diritto internazionale nell’Università di Pisa.