10. Attività di ricerca latitanti

Il concetto di latitanza è indicato dall’art. 296 c.p.p. il quale indica come latitante “chi volontariamente si sottrae alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio, all’obbligo di dimora o a un ordine con cui si dispone la carcerazione”.

Nel contesto tradizionale della criminalità organizzata il latitante costituisce una figura assai emblematica; anzitutto la sua pericolosità nella dimensione locale assume risalto ove maggiore è il periodo di sottrazione alla cattura: perciò, egli costituisce elemento di aggregazione criminale per il prestigio che acquisisce nel sottrarsi alla detenzione. La conseguenza è che attorno al latitante si costituisce un focolaio di pericolosità locale, capace di attrarre un ampio segmento di contiguità nella popolazione, specie laddove il malcontento e la sfiducia nelle istituzioni sono più marcate. È evidente che la ricerca dei latitanti deve costituire un’attività primaria da parte delle FF.PP., anche per interdire ulteriori possibilità di aggregazione e per ostacolare l’azione dei centri decisionali della criminalità organizzata. Nel corso di tale attività è tuttavia possibile acquisire significativi elementi di valutazione in ordine alla pericolosità eventuale dei soggetti viciniori al latitante, che, a diverso titolo, si ritiene ne favoriscano l’irreperibilità. L’adozione di misure di prevenzione può, in tal caso, contribuire a: - restringere lo spazio di operatività dei clan ed indebolire il prestigio del latitante; - fiaccare il supporto logistico che i vari soggetti proposti offrono al latitante stesso; - delimitare lo spazio di ricerca del latitante, venendo meno le probabilità che dei sorvegliati speciali offrano a quest’ultimo possibilità di rifugio.