2. Lo statuto della Corte Penale Internazionale. Principi Generali

Lo Statuto di Roma è costituito da un Preambolo, e da 128 Articoli suddivisi in 13 Capitoli : I. Istituzione della Corte, II. Competenza, Procedibilità e Normativa applicabile, III. Principi generali del diritto penale, IV. Composizione ed amministrazione della Corte, V. Indagini ed esercizio dell’azione penale, VI. Il processo, VII. Pene, VIII. Appello e revisione, IX. Cooperazione internazionale ed assistenza giudiziaria, X. Esecuzione, XI. Assemblea degli Stati Parte, XII. Finanziamento, XIII. Clausole finali(124).
Per individuare, letteralmente, gli elementi significativi della ratio del nuovo sistema di giustizia internazionale delineato dallo Statuto, è necessario soffermarsi sulle enunciazioni del Preambolo:
- Consapevoli che tutti i popoli sono uniti da stretti vincoli e che le loro culture formano un patrimonio da tutti condiviso, un delicato mosaico che rischia in ogni momento di essere distrutto,
- Memori che nel corso di questo secolo, milioni di bambini, donne e uomini sono stati vittime di atrocità inimmaginabili che turbano profondamente la coscienza dell’umanità,
- Riconoscendo che crimini di tale gravità minacciano la pace, la sicurezza ed il benessere del mondo,
- Affermando che i delitti più gravi che riguardano l’insieme della comunità internazionale non possono rimanere impuniti e che la loro repressione deve essere efficacemente garantita mediante provvedimenti adottati in ambito nazionale ed attraverso il rafforzamento della cooperazione internazionale,
- Determinati a porre termine all’impunità degli autori di tali crimini contribuendo in tal modo alla prevenzione di nuovi crimini,
- Rammentando che è dovere di ciascuno Stato esercitare la propria giurisdizione penale nei confronti dei responsabili di crimini internazionali,
(…omissis…)
- Determinati ad istituire, a tali fini e nell’interesse delle generazioni presenti e future, una Corte Penale Internazionale permanente e indipendente, collegata con il sistema delle Nazioni Unite competente a giudicare sui crimini più gravi motivo di allarme per l’intera comunità internazionale,
- Evidenziando che la Corte penale internazionale istituita ai sensi del presente Statuto è complementare alle giurisdizioni penali nazionali,
(…omissis…)…
Dalla lettura del preambolo, gli elementi sostanziali che vengono ad assumere un primo rilievo sono innanzi tutto la natura permanente ed il carattere complementare del sistema di giustizia internazionale dello Statuto.
In proposito, le già citate indicazioni programmatiche del preambolo (125) sono poi esplicitate nell’Art.1 : « È istituita una Corte penale internazionale in quanto istituzione permanente che può esercitare il suo potere giurisdizionale sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale, ai sensi del presente Statuto. Essa è complementare alle giurisdizioni penali nazionali…».
Più espressamente il carattere di giurisdizione complementare va correlato con le previsioni dell’ Art.17 - Questioni relative alla procedibilità, ove si configura la possibilità dell’intervento giurisdizionale della Corte solo qualora gli Stati non vogliano o non possano giudicare i colpevoli.

Occorre pertanto che venga a determinarsi una delle seguenti condizioni:
- l’ unwillingness, il «difetto di volontà» dello Stato, desumibile da un ritardo ingiustificato, da un processo condotto in modo non indipendente e non imparziale, o in modo incompatibile con il fine di assicurare il reo alla giustizia (Art.17 comma 2 lett.a);
- l’inability, l’«incapacità dello Stato», a causa di un totale o sostanziale collasso istituzionale, con specifico riferimento al sistema giudiziario interno (Art.17 comma 2 lett.b).
Questo principio sulla giurisdizione “complementare” dello Statuto è stato oggetto di vivaci discussioni, sia nella fase dei lavori preparatori sia ad avvenuta approvazione della Conferenza di Roma. Molti autorevoli osservatori hanno visto in esso una definitiva débâcle dell’idea di una giurisdizione universale e addirittura una sorta di “regressione”(126) rispetto a quanto si era consolidato con la giurisdizione “prioritaria” del Tribunale Internazionale della ex Jugoslavia. Secondo taluni, addirittura, la giurisdizione della Corte sarebbe di fatto destinata ad assumere un carattere «eccezionale», essendo stato compiuto un irreparabile « atto di deferenza alla sovranità degli Stati»(127): ciò anche in riferimento alle possibilità di abusi, o quantomeno di ostruzionismi procedurali, consentiti dallo stesso Statuto (Art.18 comma 2) agli Stati terzi, che non diverranno parti dello Statuto: ogni Stato, in relazione al principio di complementarità della Corte, potrà obbligare il Procuratore a deferire la questione alle autorità nazionali competenti(128).

Ma queste visioni critiche e pessimistiche sul carattere complementare della giurisdizione dello Statuto di Roma non hanno trovato ampi consensi. È stato in primo luogo lo stesso Cassese(129) ad evidenziare un’esigenza di realismo giuridico, atteso che la giurisdizione delle istituzioni nazionali rappresenta la migliore per giudicare, costituendo peraltro il forum conveniens, anche nella considerazione che nel diritto internazionale l’idea di un diritto di perseguire i crimini internazionali si è venuta formando nel tempo facendo capo essenzialmente alle responsabilità degli Stati; le giurisdizioni nazionali, esistendo direttamente sul posto, hanno più concrete possibilità di acquisizione degli elementi di prova ed un panorama più ampio di fattispecie ascrivibili alla propria competenza, con la conseguenza essenziale che ad esse non potranno sfuggire quelle condotte sporadiche ed isolate, ma pur sempre criminali (come nel caso di un infanticidio, uno stupro, commessi singolarmente, non nel quadro di violenze sistematiche) che non rientrano nella giurisdizione internazionale.

In un approccio internazionalistico più generale, il Ronzitti(130) rileva che il principio di complementarità non si discosta dalla regola generale del “previo esaurimento dei ricorsi interni”, normalmente applicabile in materia di diritti dell’uomo: prima di poter adire un organismo internazionale, occorre esperire il giudizio davanti ai tribunali nazionali(131).
Deve anche considerarsi che la priorità di giurisdizione individuata per il Tribunale per la ex-Jugoslavia va vista come diretta conseguenza di quelle condizioni di «difetto di volontà» e «incapacità dello Stato» che di fatto risultavano già acclarate nella crisi balcanica. È pertanto evidente, in linea di principio, che nel momento in cui occorreva invece definire in astratto la competenza di un nuova Corte internazionale permanente non si poteva operare una automatica estromissione della giurisdizione degli Stati. D’altro canto, persino nel regime di occupatio bellica (132) - definito dagli artt.42-56 del Regolamento annesso alla IV Convenzione dell’Aja del 1907, negli artt. 27-33 e 47-78 della IV Convenzione di Ginevra del 1949 e negli artt. 72 e segg. del I Protocollo Aggiuntivo del 1977- non è prevista una totale sostituzione degli organismi giudiziari del Paese occupato; e ciò è tanto più indicativo se si considera l’attuale tipologia dei conflitti armati: essi sono perlopiù circoscritti e destinati ad essere risolti non già con uno stato di occupazione, ma con articolate forme di “compresenza” di organi internazionali e delle autorità dello Stato “territoriale”(133).

Si può quindi parlare anche in questo caso di un principio di universalità della giurisdizione, sui crimina iuris gentium, «internazionalmente imposta»(134) secondo la linea consolidata delle originarie previsioni del diritto penale internazionale definito dalle Convenzioni di Ginevra e dagli altri più importanti strumenti convenzionali: dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio (New York, 9 dicembre 1948) alla Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o punizioni inumani o degradanti (New York, 10 dicembre 1984), dalla Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (New York, 21 dicembre 1965) alla Convenzione per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza dell’aviazione civile (Montreal, 23 settembre 1971), e così via.
In tale ambito, le riserve sul carattere complementare della giurisdizione non ci sembrano fondate e comunque assolutamente non valevoli per denunciare una deminutio dell’idea originaria della Corte internazionale; anzi può essere rimarcato che con lo Statuto di Roma l’“imposizione internazionale” sull’esercizio della giurisdizione, ancorché ad opera dei singoli Stati, si presterà ora ad essere più efficacemente «controllata» e resa effettiva dalle possibilità di esercizio di un “potere sostitutivo” della nuova Corte Internazionale nel promuovere l’azione penale nei casi di unwillimgness e inability degli Stati. Tanto più che i supposti limiti della Corte sono stati analizzati anche in una prospettiva opposta, quella del giudice nazionale che invece potrebbe lamentare di vedersi «sottratte le carte di mano» per decisione della Corte(135).

In sintesi, la complementarità della Corte può essere vista in termini sicuramente positivi alla luce della chiave di lettura offerta da un recente saggio di Caracciolo Dal Diritto Penale Internazionale al Diritto Internazionale Penale (136): «…anche se il momento interno di repressione dei crimini internazionali rimane preminente, quello internazionalistico, attraverso la Corte penale internazionale, svolge una funzione essenzialmente di garanzia della serietà e dell’effettività dell’esercizio della funzione punitiva statale, sia indirettamente, poiché costituisce un incentivo per gli Stati ad adempiere all’obbligo di reprimere i crimina iuris gentium, sia direttamente poiché si può sostituire ai loro sistemi giurisdizionali nel caso di mancato adempimento di questo obbligo»(137).
L’analisi sulla definizione della giurisdizione della Corte non si esaurisce tuttavia sul principio generale di complementarità così delineato; essa deve necessariamente evidenziare invece le più specifiche previsioni sulle competenze ratione loci e ratione personae individuate all’Art.12, nonché sulle condizioni di procedibilità individuate all’ Art. 13.

La Corte può giudicare solo quando si verifichi almeno una delle seguenti condizioni:
- il crimine è stato commesso da un cittadino di uno Stato Parte;
- il crimine è stato commesso nel territorio di uno Stato Parte;
- ove si tratti di crimini non interessanti (secondo le precedenti ipotesi) uno Stato Parte, per il crimine in questione vi è stata dichiarazione di accettazione - depositata alla Cancelleria - della competenza della Corte fatta da uno Stato-non-Parte dello Statuto;
- in tutti i casi, se vi è stato il deferimento da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ai sensi del Cap. VII della Carta.
È di tutta evidenza, dunque, il potere del Consiglio di Sicurezza, che è l’unico organismo ad avere la possibilità di investire la Corte di una sorte di giurisdizione universale, estendendone la competenza anche quando non sono Parti dello Statuto sia lo Stato nel cui territorio è stato commesso il crimine sia lo Stato di appartenenza del reo. Si tratta di un ulteriore riconoscimento del sistema di sicurezza collettivo della Carta delle Nazioni Unite, che lo Statuto della Corte non ha voluto affatto intaccare.

Anzi, nell’intendimento di rimarcare il ruolo prioritario delle Nazioni Unite nell’assolvimento delle funzioni di regolatore e controllore delle controversie internazionali, garante della pace e della stabilità internazionali, all’ Art. 16 è stato riconosciuto al Consiglio di Sicurezza la possibilità di sospendere le indagini e l’esercizio dell’azione penale per un periodo di dodici mesi, rinnovabili, con una Risoluzione adottata ai sensi del capitolo VIII della Carta. La previsione è stata analizzata sotto vari profili. Da un lato, è stata vista come un potere incisivo di particolare valore che prefigura un sistema ideale delle Nazioni Unite in cui potrà trovare piena efficacia il ruolo della mediazione “politica” nella soluzione delle situazioni di crisi; inoltre, le componenti militari più frequentemente impegnate in missioni di pace, in specie a guida ONU, hanno qui intravisto la possibilità di evitare iniziative giudiziarie attivate nei loro confronti che, soprattutto all’esordio di una missione, finirebbero per “paralizzare” gli interventi militari all’estero. Per un termine di paragone abbastanza eloquente, si può pensare a quale efficacia potrebbe avere l’azione di contrasto ad un gruppo criminale (mafioso, terroristico, finanziario, etc.) intrapresa da un organo di polizia, i cui componenti siano sottoposti alla contestuale indagine giudiziaria perché ritenuti essi stessi responsabili di abusi e/o attività illecite: qualunque possa essere l’esito dell’inchiesta, è evidente che la loro azione risulterà in concreto condizionata da pregiudizi di fondo, se non direttamente “delegittimata” ab initio.

In un’altra ottica, con uno spirito più critico si è sottolineata l’ingerenza di un potere “politico”, qual è indubbiamente quello del Consiglio di Sicurezza, sul potere giurisdizionale della Corte, riprendendo dunque uno dei motivi polemici che per lungo tempo hanno tentato di minare la giuridicità dei Tribunali per la ex Jugoslavia e per il Rwanda, istituiti - ricordiamo - non già con fonti convenzionali, ma con Risoluzioni delle Nazioni Unite. Ma su questo tema, l’opinione della parte prevalente della dottrina è rivolta ad evidenziare l’alta valenza dello Statuto anche nella definizione di queste regole di giurisdizione, atteso che, formalmente, si tratta di un mero potere di “sospensione” delle indagini e non già di un “potere di archiviazione”, che - questo sicuramente - avrebbe rappresentato un gravissima lesione dei principi di autonomia e indipendenza della funzione giurisdizionale.
Quanto agli altri lineamenti generali dello Statuto va ricordato che esso enuncia espressamente i principi generali di diritto, propri del diritto penale, che regolano la giurisdizione della Corte: nullum crimen sine lege, nulla poena sine lege, irretroattività e ne bis in idem. Le norme applicabili alla Corte (art. 21) saranno lo Statuto, le Regole di procedura e di prova e, in via suppletiva, i trattati ed i principi generali di diritto internazionale, nonché i principi generali dei sistemi giuridici nazionali, ivi compresa la legislazione dello Stato sotto la cui giurisdizione ricade il crimine commesso.

Ma un particolare valore assume il richiamo di due fondamentali principi che, pur riconoscendosi - secondo la migliore dottrina - universalmente validi e direttamente efficaci nel diritto consuetudinario, si è ritenuto opportuno disciplinare in una norma di diritto positivo: l’irrilevanza delle immunità, relative a qualsiasi status di “agente” dello Stato, e la imprescrittibilità delle violazioni allo Statuto.
L’Art. 27 prescrive espressamente che “lo Statuto si applica a tutti in modo uguale senza qualsivoglia distinzione basata sulla qualifica ufficiale; in modo particolare, la qualifica ufficiale di Capo di Stato o di governo, di un membro di un governo o di un parlamento, di rappresentante eletto o di agente di uno Stato non esonera in alcun caso una persona dalla sua responsabilità penale per quanto concerne il presente Statuto e non costituisce in quanto tale motivo di riduzione della pena” (138). Si tratta dunque di una sostanziale deroga alla regola della c.d. “immunità organica”, riferita cioè all’identificazione della persona con le funzioni proprie di un organismo statale (o internazionale), che trova invece ampie tutele negli ordinamenti interni e nel diritto internazionale consuetudinario e pattizio(139).

L’Art. 29 enuncia quindi che “i crimini di competenza della Corte non sono soggetti ad alcun termine di prescrizione”. Quest’ultima previsione ha meritato alcune considerazioni più specifiche. Le Convenzioni di Ginevra ed il I Protocollo non avevano dato indicazioni sull’imprescrittibilità dei crimini di guerra, e si è tentato di individuare il fondamento del principio nella Convenzione sull’imprescrittibilità dei crimini di guerra e contro l’umanità (1968), adottata nell’ambito delle Nazioni Unite, e nella Convenzione europea sull’imprescrittibilità dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità (1974), adottata in seno al Consiglio d’Europa. In entrambi i casi è stato però evidenziato il basso numero di ratifiche, tanto che la Commissione di Diritto Internazionale aveva visto arenare i suoi lavori sul Codice dei crimini contro la pace e la sicurezza dell’umanità sull’elemento critico della regola della imprescrittibilità: molti governi volevano circoscriverla solo ai reati “più odiosi”, anche per consentire una certa discrezionalità laddove fosse ritenuto necessario raggiungere un obiettivo di pacificazione sociale, necessaria in determinati periodi storici. Va perciò ricordato che in questo contesto assai significativo è stato il contributo delle varie giurisdizioni nazionali nel consolidare una giurisprudenza orientata a definire l’imprescrittibilità di tali violazioni come principio del diritto internazionale consuetudinario. Per il nostro ordinamento, va citata la Sentenza del 13 settembre 1997 del Tribunale Militare di Roma, relativa al procedimento a carico di Haas e Priebke per l’eccidio delle Fosse Ardeatine(140).

Può dunque sottolinearsi, comunque, l’incisività delle previsioni dello Statuto sulla irrilevanza delle immunità e sulla imprescrittibilità, che di fatto hanno voluto dirimere ogni dubbio interpretativo e tracciare stavolta un solco indelebile nell’ affermazione del carattere consuetudinario di tali principi generali dello International Humanitarian Law : nessun individuo, anche se Capo di Stato o di Governo, potrà rimanere impunito; né vi sarà un termine perché il processo possa essere archiviato per intervenuta prescrizione. Sono questi i punti cardine su cui far maturare la riflessione dei singoli sulla ineluttabilità della giustizia internazionale, e sul monito che lo Statuto ha esplicitamente rivolto(141) a quanti continuano a compiere gravi e sistematici crimini di guerra e contro l’umanità.


(124) - Il testo in lingua italiana ed inglese dello Statuto è riportato nella legge 12 luglio 1999, n.232 (in G.U. 19 luglio 1999, n.167, S.O. n.135/l) Ratifica ed esecuzione dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale, con atto finale ed allegati, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma, il 17 luglio 1998. Delega al Governo per l’attuazione dello statuto medesimo. Cfr. anche: Reale op. cit., in Appendice, UN doc. A/CONF. 183/9 del 17.7.1998.
(125) - Nono e decimo “considerando”, nella formulazione integrale.
(126) - F. Mosconi F.- N.Paris, Cooperation between Intrnational Criminal Court and States Partes in F. Lattanzi (a cura di), The International Criminal Court - Comments on the Draft Statute, Napoli, 1998; J.P. Pierini, La cooperazione internazionale e l’assistenza giudiziaria, relazione al Convegno sul tema La Corte penale internazionale. Principi e procedure organizzato dall’Associazione Italiana Giovani Avvocati, Roma 7 marzo 2000.
(127) - Cfr.: Mori, Prime riflessioni sui rapporti tra Corte penale internazionale e Organizzazione delle Nazioni Unite, in Comunità Internazionale, 1999 p. 29; F. Patruno, Brevi riflessioni sull’istituzione della Corte penale internazionale, in Cass. Pen., cit., p.1481; Lattanzi, La Conferenza di Roma sulla Corte penale internazionale - Problemi di giurisdizione Relazione all’incontro di Roma del 21.10.1198 sul tema Cooperazione fra Stati e giustizia internazionale penale in Atti del III Convegno della Società Italiana di Diritto Internazionale, Siena 12-13 giugno 1998; Ronzitti, La Corte Penale Internazionale, cit., pp.3-51.
(128) - F. Patruno, cit., p. 1482, G. Palmisano, La nuova Corte penale internazionale e il problema degli Stati terzi, cit.
(129) - The Statute of the International Criminal Court: Some Preliminary Reflections in European Journal of International Law, n.1/1999,
(130) - N. Ronzitt, La Corte Penale Internazionale…, cit., p.51.
(131) - È il caso delle competenze della Commissione e della Corte europea dei diritti dell’uomo istituita dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Roma, 4 novembre 1950), e della Corte americana dei diritti umani istituita dalla Convenzione americana sui diritti dell’uomo (San Josè de Costa Rica , 22 novembre 1969) Cfr.: Conforti, Diritto Internazionale, cit.
(132) - N. Ronzitti, L’occupatio bellica in Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, Giapichelli, Torino, 1998, p.166.
(133) - Si pensi più recentemente alla soluzione adottata dall’UNMIK, l’Autorità Internazionale per il Kosovo che ha avviato la ricostruzione dell’area mantenendo in vigore, in linea di massima, legislazione ed organismi amministrativi e giudiziari preesistenti. Cfr.: A. Konomi, Chi comanda in Kosovo in Limes Quaderni Speciali, Maggio 2000.
(134) - N. Ronzitti, op. cit., p.151.
(135) - Condorelli, La Cour Pénal internationale: un pas de géant (pourvu qu’il soit accompli…) in Revue Générale de droit international public, 1999, p. 21.
(136) - I. Caracciolo, Dal Diritto Penale Internazionale al Diritto Internazionale Penale. Il rafforzamento delle garanzie giurisdizionali, Ed. Scientifica, 2000. Secondo l’originaria definizione si soleva indicare come Diritto Penale Internazionale la parte di Diritto Interno che regola i rapporti internazionali in materia penale (regime delle rogatorie, estradizioni, etc.); con l’espressione Diritto Internazionale Penale si indicava invece l’insieme delle norme internazionali che prevedono e disciplinano illeciti internazionali sanzionati penalmente. Nell’analisi più articolata di Caracciolo, op. cit., p. 38 , «il Diritto Internazionale Penale abbraccia quelle norme internazionali, sia consuetudinarie che convenzionali, che definiscono determinati comportamenti degli individui come crimini internazionali, in quanto costituiscono un pericolo per l’ordine pubblico internazionale, e quelle norme convenzionali che determinano specifici meccanismi di prevenzione e repressione, direttamente azionabili a livello di ordinamento internazionale o che impongono agli Stati l’attivazione dei loro sistemi giurisdizionali».Cfr.: Gasler, Introduction à l’étude du Droit International Pénal, Buxelles , Paris, 1954, p.7: il diritto internazionale penale consiste nell’insieme «des règles juridiques, reconnues dans les relations internationales, qui ont pour but de protéger l’ordre social international (la paix sociale internationale) par la répression des actes qui y portent atteinte; en d’autres termes, l’ensemble des règles établies pour réprimer les violations des préceptes du droit international public». Cfr. anche: M. Pisani, La penetrazione del Diritto penale Internazionale nel Diritto Penale Italiano in Diritto Penale Internazionale, Suppl. 1-2, gennaio-1-9 aprile 1979 della rassegna Il Consiglio Superiore della Magistratura, pp.45-46; M.C Bassiouni, Le Droit Penal International.Son histoire, son objet, son contenu in Revue Internationale de Droit Penal, 1° e 2° trim.1981, p.50.
(137) - P. 298. Cfr. anche: Benvenuti, The repression of Crimes against Humanity; War Crimes,Genocide trought National Courts, in Studi in onore di Giovanni Maria Ubertazzi , Jus,1, 1999, p.155.
(138) - Sul tema, v. quanto precedentemente indicato sul processo al Kaiser Gugliemo II e sui principi di giurisdizione dei Tribunali di Norimberga, Tokio, nonché dell’ex Jugoslavia e del Ruanda. L’ art. 7 della Charter di Norimberga disponeva: “The official position of defendants, whether Heads of States or responsible officials in Government Departments, shall not be considered as freeing them from responsibility or mitigating punishment” ; analoga previsione era all’art. 6 della Carta del Tribunale di Tokio. Cfr.: O. Triffteer, Commentary on the Rome Statute of the International Criminal Court Nomos Verlagsgesellschaft Baden Baden, 1999, p.503. L’estensione di tale principio è comune alla evoluzione non solo del diritto umanitario, ma anche al corpus dei diritti umani in generale, es. art. 4 della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio (New York, 9 dicembre 1948). Sul dibattito relativo al superamento della impunità dei Capi di Stato e di Governo cfr.: Baltazar Garzon Real, op. cit.; C. Del Ponte, op. cit. e De Sena, Immunità di ex-Capi di Stato e violazioni individuali del divieto di tortura: sulla sentenza del 29 marzo 1999 della Camera dei Lords nel caso Pinochet in Riv. Dir. Int., 1999, p. 933 s.
(139) - Secondo l’Antolisei, op. cit. p. 141 e s., per effetto del diritto pubblico interno italiano, godono di immunità: a) il Capo dello Stato (art.80-134-283 Cost.); b) i membri del Parlamento, i Consiglieri Regionali, i giudici della Corte Costituzionale, i membri del Consiglio Superiore della Magistratura (cd immunità “circoscritta” ai reati di opinione); inoltre particolari prerogative sono previste per i Ministri in carica; per effetto del diritto internazionale consuetudinario, le immunità sono riconosciute a: a) Capi di Stato esteri e i Reggenti che si trovano in tempo di pace nel territorio della Repubblica; b) i Capi di Governo e ministri di Stati esteri o rappresentanti di questi ultimi in conferenze o organizzazioni internazionali e i membri straordinari di tribunali arbitrali; c) gli Agenti diplomatici presso il Capo dello Stato, gli addetti militari, e in genere i membri delle missioni tecniche (inclusi i congiunti conviventi ed il personale di servizio); d) i membri del Parlamento Europeo; e) i Consoli, i Vice Consoli e gli Agenti consolari (in genere per reati meno gravi); e) i Giudici della Corte dell’Aja e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; f) i corpi e i reparti di truppe straniere, quando autorizzate alla presenza nel territorio dello Stato e secondo specifiche previsioni di giurisdizione concorrente (NATO-SOFA Convenzione di Londra 1951 rat. con l. 30.11.1955 n. 1335); g) i membri di istituzioni specializzate e i rappresentanti dell’ONU; h)il Santo Pontefice, i Cardinali in Conclave, gli Agenti Diplomatici e gli ecclesiastici incaricati della redazione di atti ufficiali al di fuori della Santa Sede. Più ampiamente: Condorelli, Le immunità diplomatiche e i principi fondamentali della Costituzione in Giur. Cost., 1979, I,455; Miele, La Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari in Riv. Dir. Int., 1963,391; Zecchino, Immunità dei membri del parlamento europeo e art.3 della Costituzione in Giur. di merito, 1981, III, 776 etc.
(140) - N. Ronzitti , Diritto internazionale dei conflitti armati, cit ., p.151 e La Corte penale internazionale…, cit., p. 117. Per più ampi riferimenti alla vicenda processuale Haas e Piebke, cfr.: R. Venditti, Il diritto penale militare nel sistema penale italiano, Giuffrè, 1997, p. 71- 258; G. Richiello, Note sull’ultima sentenza per l’eccidio delle Fosse Ardeatine in Cass. Pen., Vol. XXXIX-1039, luglio-agosto 1999, Giuffrè, p.2169 e s.
(141) - Preambolo, quinto “considerando”.