Intercettazioni di comunicazioni nelle attività investigative. Principi e possibili nuove applicazioni

Giovanni Spirito (*)

1. Aspetti generali giuridici ed economici

a. Definizione delle attività di intercettazione in ambito investigativo
L’attività di investigazione svolta con l’utilizzo della intercettazione di comunicazioni, nella sua accezione più ampia di “esaminare a fondo e cercare di conoscere, seguendo accuratamente ogni indizio...”(1), sta sempre più assumendo un ruolo rilevante ed una dimensione transnazionale, tale da potersi presentare quale efficace strumento investigativo in ambito internazionale e potenziale leva di grande valenza per le attività di intelligence. Il fine che si propone questo lavoro è dimostrare che l’intelligence, che ha assunto una straordinaria valenza in tutte le operazioni di Crisis Response Operation (CRO), necessita di una ulteriore capacità che ne aumenti la efficacia e che può essere fornita dallo strumento investigativo delle intercettazioni.

Oggi, infatti, l’intelligence è necessaria a tutti i tipi di concezione e conduzione di azione, anche (e soprattutto!) per le operazioni militari di carattere internazionale, che impegnano in teatri, spesso insidiosi, le nostre truppe. Prima di affrontare questo argomento sarà opportuno definire compiutamente l’attività di intercettazione. Essa può definirsi quale strumento investigativo atto a catturare un segnale vocale o dati, per trasferirlo ad una stazione registrante. Tale definizione fissa fisicamente i due principali riferimenti la fonte produttrice del segnale e la stazione di registrazione, che vengono messi in collegamento via etere (attraverso ponti radio propri montati all’occorrenza, GSM, ETACS, satellitari) o cavo (vecchio doppino telefonico, ISDN, ADSL, fibra ottica) per consentire di fissare il dato intercettato.

Possiamo, senza addentrarci troppo nel tecnicismo, individuare diverse modalità di intercettazioni con riferimento alla captazione del segnale, che può avvenire: - su conversazioni telefoniche effettuate da postazione fissa, cellulare (con apparecchi ETACS, GSM o satellitare) o mista; - in conversazioni tra presenti, meglio nota anche con il nome di intercettazioni ambientali (in luoghi privati, aperti al pubblico o pubblici); - telematica, con la captazione e registrazione di e-mail e/o attività di fruizione di servizi internet. La opportuna distinzione tra le varie tipologie consente di esplicitare le principali motivazioni della scelta di una trattazione basata sui principi più che sulle soluzioni tecnologiche, atteso che: - la finalità della presente esposizione è definire le potenzialità di tale approccio che si ritiene risolutore di moltissime problematiche operative, non solo quelle in ambito investigativo; - non svilire la trattazione con tecnicismi che possono avere una validità molto limitata nel tempo, a causa dello sviluppo sempre più rapido delle tecnologie applicate alle telecomunicazioni, con riferimento sia alle sempre nuove modalità di comunicazione sia ai relativi nuovi mezzi per intercettarle.

Sostanzialmente, dopo aver compreso cosa si intenda per tale attività, è opportuno capire a fondo le caratteristiche che rendono questa tecnica così significativamente importante. In sintesi, possiamo affermare che la sua rilevanza si fonda sulla necessità sempre più presente negli uomini di comunicare, soprattutto quando devono decidere, ed in misura direttamente proporzionale alla importanza della decisione. L’attività investigativa adottata dalle Forze di Polizia è storicamente e, a mio parere, impropriamente legata alla sola repressione dei reati secondo la vecchia distinzione tra attività di pubblica sicurezza, sostanzialmente legata alla prevenzione dei reati, e di polizia giudiziaria, relegata esclusivamente a compiti di repressione delle condotte illecite. Sostanzialmente coerente con questo quadro è la definizione data dall’art. 55 del nuovo Codice di Procedura Penale dell’attività della Polizia Giudiziaria che “... deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova...”.

In sintesi si interviene quando la condotta illecita sta già esplicando i suoi effetti. Tale approccio può dirsi ormai superato sia sotto l’aspetto normativo sia sotto quello sostanziale. Il legislatore italiano, infatti, di fronte al dilagare di fenomeni preoccupanti, quali la criminalità organizzata ed il terrorismo, ha da tempo deciso di ampliare la portata fortemente invasiva della intercettazione di comunicazioni in chiave preventiva, anche se con limitazioni. All’art. 226 delle norme di coordinamento del Codice di Procedura Penale si parla di: - “... esigenze di prevenzione...” (1° comma); - “... elementi investigativi che giustifichino l’attività di prevenzione...” (2° comma); - “... elementi acquisiti ...” non utilizzabili nel procedimento penale se non per “... fini investigativi...” (5° comma). In questo modo, il legislatore consente di utilizzare l’attività di intercettazione anche per prevenire i reati. La materia, dopo diversi e non sempre univoci interventi dello stesso legislatore, è stata da ultimo unificata dall’art. 5 del decreto legge 18 ottobre 2001 n. 374, convertito in legge con provvedimento del 15 dicembre 2001 n. 438, che ne ha ampliato l’applicabilità ai casi di terrorismo internazionale(2).

Ciò che più rileva di questa nuova prospettiva è il necessario accento sulle potenzialità di uno strumento che, se da un lato richiede tutta una serie di particolari rispetti formali per la sua attuazione, dall’altro contiene: - un forte potere di penetrazione nel tessuto criminale, essendo caratterizzato da alta invasività; - elevata idoneità ad essere accettato a livello universale in quanto strumento giurisdizionalizzato, e perciò garantito da filtri istituzionali internazionalmente riconosciuti. Il primo assunto è univocamente dimostrato dal fatto che “... il ricorso allo strumento delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni è andato incrementandosi, in questi ultimi anni, in maniera esponenziale ed ha assunto rilievo decisivo nelle più importanti indagini, specie in quelle di criminalità organizzata, nelle quali, com’è noto, si manifesta la sostanziale inidoneità, ai fini della acquisizione di elementi di prova, di altri sistemi di indagine (se si eccettuano i collaboratori di giustizia e l’attività svolta sotto copertura, quest’ultima, peraltro, difficilmente realizzabile in ambito di criminalità mafiosa)”(3).

Condurre, inoltre, una attività investigativa con l’utilizzo delle intercettazioni di comunicazioni consente di risolvere l’indisponibilità di altri validi mezzi di contrasto nella lotta alla criminalità, il cui utilizzo è stato causa di ciò che è stato definito “il municipalismo investigativo che ha prodotto il più deleterio personalismo metodologico. Il ricorso alle intercettazioni in fase di indagine offre la possibilità non soltanto di superare il personalismo metodologico, ma anche di raggiungere positivi risultati nel contrasto alla criminalità, sempre che vengano rispettati alcuni principi organizzativi e metodologici”(4). Questo è un nuovo modo di approcciarsi al problema della lotta alle varie forme di criminalità che ha dato e continua a dare in molti casi i suoi frutti. Del resto, l’attività investigativa condotta con l’utilizzo delle intercettazioni, quando effettuata con modalità che ne esaltano l’intrinseco valore, disvela una notevole capacità di prevenire gli eventi! Proprio sulla reale possibilità di prevenire accadimenti penalmente rilevanti e governare le relative evoluzioni di situazioni che il presente studio tende a dimostrare le notevoli positive ricadute di questo strumento anche per il suo contributo che potrà fornire per la nuova sfida asimmetrica globale al terrorismo internazionale.

L’esperienza investigativa e processuale e l’attuale quadro normativo inducono a fare ricorso sempre più spesso a tale fonte di prova: ma diviene necessario verificarne la bontà alla luce di quelle che sono le principali critiche che tale tipo di approccio investigativo ha determinato. Strutturare una indagine con l’utilizzo di intercettazioni determina una modalità peculiare di condurre una attività di indagine che merita infatti di essere attentamente esaminata. Gli aspetti principalmente dibattuti riguardano i riflessi economici e giuridici. Per quanto concerne l’aspetto economico è necessario specificare che le spese che si sostengono per tale attività sono di due principali specie: per l’acquisto e l’affitto di apparecchiature e per i costi di esercizio. Nel primo caso, mentre gli acquisti di apparecchiature - seppur sempre più sofisticate - sono a costi piuttosto contenuti (anche perché avvengono su scala nazionale), nel caso dell’affitto, la spesa registra sensibili aumenti.

A tale proposito appare di fondamentale importanza la completa assenza di una autonoma attività di ricerca e sviluppo dei materiali da parte delle FF.PP., sì da: - far dipendere in maniera assoluta la disponibilità di materiali dalla presenza sul mercato, evidentemente stimolato anche da richieste commerciali, di strumentazioni che non sempre ben si attagliano alle specifiche esigenze; - pesare in maniera spesso considerevole sul costo delle stesse (sia per la vendita sia per l’affitto), poiché le industrie elettroniche vi ricaricano le relative spese di ricerca e sviluppo. Nelle more di riuscire a creare una struttura autonoma adeguata (come è stato fatto nel campo delle investigazioni scientifiche ove ormai non si “dipende” più dalla disponibilità delle università per tutti i tipi di accertamenti ed applicazioni scientifiche alla polizia giudiziaria), si potrebbe pensare, per ovviare al ricorso all’affitto di apparecchiature non in possesso e garantire il necessario effetto sorpresa, alla stipula di contratti coi quali avere la disponibilità di diversi materiali che mam mano la ditta riesce a produrre, fornendo le necessarie garanzie di adeguatezza tecnologica ed esclusività di vendita sul mercato.

Ma la componente che finisce per pesare di più sulla spesa complessiva delle intercettazioni è la spesa di esercizio: il trasporto del segnale ed il necessario interessamento di più gestori telefonici anche per una sola attività di intercettazione sono i principali fattori che determinano una forte crescita della spesa e che, negli ultimi anni, ha spinto nella direzione di considerare in modo critico questo essenziale strumento investigativo. Non ritengo in questa sede di dovere intervenire in modo approfondito sulla questione. Posso solo segnalare, ribadendo che le più importanti investigazioni nazionali ed internazionali sono state condotte con l’utilizzo di questo strumento, che la spesa può sì incidere e divenire significativa nel bilancio di un Ministero ma, spesso, ciò non viene messo in correlazione con gli importantissimi risultati conseguiti. Sarebbe doverosa una valutazione più ampia di quella che in genere si è portati a fare: è solo con una analisi che metta in correlazione costi e benefici che si può misurare l’efficacia dello strumento.

E tra i benefici andrebbero conteggiati, oltre che i reati repressi, anche le azioni di prevenzione che si sono rese possibili grazie al ricorso a questa tecnica di investigazione. Per quanto riguarda l’aspetto giuridico del ricorso alla tecnica delle intercettazioni di comunicazioni, esso si deve affrontare avendo ben presente l’elevata invasività nella sfera individuale: tale argomento, che assume ad avviso dello scrivente una rilevanza prioritaria rispetto alla valutazione dei costi, comporta una riflessione attenta anche in relazione alla tutela della privacy, cui il legislatore nazionale ed europeo ha voluto dedicare una particolare attenzione in tempi recenti. In tale campo, comunque, anche la Corte Costituzionale si è più volte pronunciata per la compatibilità dello strumento con l’attuale quadro normativo, in relazione agli articoli 3, 14 e 15 della Costituzione; si riportano di seguito i riferimenti alle principali sentenze della Suprema Corte: - sulla eguaglianza e pari dignità dei cittadini (1° comma art.3 Cost.) in relazione al più generico esercizio delle attività di intercettazione, di cui al 1° comma art. 267 c.p.p. (sentenza 7-17 luglio 1998, n. 281); - sulla pari dignità dei cittadini ed inviolabilità del domicilio (artt. 3 e 14 Cost.) in relazione con la possibilità di cui al 2° comma dell’art. 266 (sentenza 11-24 aprile 2002, n. 135).

La risposta deve essere, comunque, inquadrata nella necessaria graduatoria dei valori meritevoli di maggiore tutela all’interno di una società ed in un determinato momento storico: essa è quindi una decisione di carattere squisitamente politico e pone a confronto l’esigenza della sicurezza pubblica con il diritto alla preservazione della riservatezza delle comunicazioni. Ponendo non sia messa in discussione, almeno per il momento, che la prima esigenza appare prevalente sulla seconda, la problematica si può limitare alla individuazione dei confini di tale ingerenza: l’argomento si sposta dall’ “an” al “quantum”. Direi che anche questa rimane una risposta che spetta alla politica per quanto - anticipo qui un argomento che verrà trattato più innanzi - la legge limita già fortemente e con estrema rigorosità il ricorso alla attività di intercettazione, sottoponendola alla sussistenza di severi presupposti vagliati da almeno due magistrati (il Pubblico Ministero ed il Giudice per le Indagini Preliminari).

In tale contesto si inquadrano le decisioni del legislatore in materia e le Sentenze della Corte di Cassazione la quale, in tema di intercettazioni di comunicazioni, ha inteso definire più interventi a Sezione Unite con lo scopo di delimitare il campo con ancora maggiore rigorosità: sentenze queste che sono arrivate anche a segnare definitivamente importanti processi contro la criminalità organizzata. Le caratteristiche che con maggior efficacia connotano lo strumento della intercettazione nella attività investigativa sono determinate da: - genuinità; - confrontabilità; - estrema capacità di penetrazione nel tessuto criminale, in tempi relativamente brevi. Tali caratteristiche rendono chiara la superiorità della attività di intercettazione al confronto con i principali altri strumenti investigativi: fonte confidenziale ed agenti sotto copertura. Essendo il primo punto (la genuinità) quello che più qualifica la bontà di questo strumento rispetto alle fonti confidenziali, ai fini fattuali e non solo processuali (quale formazione di una prova di assoluta attendibilità, i giuristi sono soliti definirla “atto a sorpresa”), è bene da subito premettere che il primo problema della raccolta di dati informativi in una indagine è fortemente soggetta alla valutazione della attendibilità: calcolo questo da effettuare con particolare attenzione e notevole dispendio di tempo se proveniente da fonte confidenziale soprattutto in un’epoca come questa ove la tempistica per la pianificazione e la condotta delle operazioni è di fondamentale importanza(5).

Da ciò deriva inevitabilmente: - perdita di tempo per successive verifiche; - lento avanzamento delle attività; - raggiungimento di step, soggetti a continui controlli e ripensamenti. Se, invece, ci si potesse basare su uno strumento che consentisse un avanzamento operato su basi certe e contestualmente confrontabile e analizzabile, ciò consentirebbe di procedere con maggiore speditezza e, soprattutto, di operare “in tempo reale” con un monitoraggio completo. Tale si rivela lo strumento delle intercettazioni: esso è per definizione autentico, in quanto si ipotizza a priori la assoluta genuinità, sulla base di alcuni parametri che andremo a verificare più innanzi. Ciò consente di procedere con un vantaggio di assoluto rilievo. Inoltre la prova raccolta è sempre verificabile, poiché ora contenuta su supporti digitali fisicamente inattaccabili, e consente di effettuare analisi e confronti che riescono a fornire dati assolutamente sconcertanti per la loro puntualità, permettendo valutazioni graduali con un controllo continuo sull’avanzamento, soggette solo a piccole variazioni di marcia, spesso dovute solo ad errate interpretazioni umane.

Per ciò che concerne l’alto grado di invasività anch’esso connota tale strumento quale il più adatto a conseguire positivi risultati, differenziandolo dall’utilizzo degli agenti sotto copertura per i quali la penetrazione a livelli adeguati in strutture criminali complesse richiede molto tempo e spesso è impossibile, grazie anche ai notevolissimi problemi giuridici che comporta(6). Ritengo necessari a questo punto una riflessione che rappresenta un po’ il cuore della presente trattazione: l’analisi dei dati acquisiti. Difatti sulle solide premesse di genuinità è necessario che non si inneschi un meccanismo di “semplicistica” automazione: osserveremo infatti che ritenere il dato “ascoltato” per assoluto è l’errore purtroppo più comune e più grave! Non essere infatti speculativi sui dati, anche quelli più scontati, rappresenta il rischio più minaccioso e ricorrente. Il dato ascoltato deve essere interpretato: prenderlo e limitarsi a trascriverlo rappresenta il nonsenso di tale attività e ciò è assolutamente in sintonia con l’obbligo giuridico della trascrizione letterale del dato informativo.

Che la sorpresa sia un elemento di straordinaria valenza anche nell’attuale quadro strategico è testimoniato da alcune lucide analisi in relazione ai fatti dell’11 settembre. L’attuale e necessaria riflessione, infatti, sulle motivazione della riuscita del gravissimo attentato e della sua mancata previsione da parte dell’intelligence U.S.A., ha portato un autorevole studioso di strategia a concludere che “... la confusione e l’incertezza nella comprensione delle nuove minacce asimmetriche e della manifestazione della guerra derivano essenzialmente dall’incapacità occidentale di accettare i sistemi di pensiero e quindi di azione non lineari”(7). L’autore fa risalire tale limitazione agli studi che si effettuano nelle scuole di guerra ed alle relative mentalità pan-occidentali che così si acquisiscono e che finiscono per accettare e riconoscere solo ciò che è omogeneo alla nostra cultura. Quando si scopre qualcosa di diverso si tende a cambiarlo piuttosto che ad accettarlo nella sua diversità: nel rapporto con altri popoli si tende a giudicarli con il parametro esclusivo ed escludente della omologazione. Ciò porta inevitabilmente a non essere aperti al “nuovo”: né come modalità della propria condotta né come comprensione del comportamento altrui.

Si giunge così, appena dopo la caduta del muro di Berlino e sull’onda della teoria della “fine della storia” propugnata da Francis Fukujama (mentre, invece “... i cinesi mettevano in guardia dai rischi di minacce di armi non tradizionali ...”), a “... smantellare gli strumenti militari e di intelligence”(8). E, quindi, lo stesso autore vede una sostanziale differenza tra il pensiero d’Oriente e d’Occidente nel possesso da parte del primo di “... una mentalità che in qualsiasi occasione valuta le interazioni tra opposti complementi, tende al raggiungimento di equilibri, dinamici, non statici, ma non si spaventa - ed è ormai da millenni abituata ad affrontarli - degli squilibri, delle disarmonie, delle conflittualità e delle aberrazioni della vita politica e di quella quotidiana(9), insomma una mentalità vincente perché sempre pronta al “nuovo”, alla sorpresa”. In sintesi con le parole dello stesso autorevole alto ufficiale si può affermare che “per questo ogni convenzionalità, linearità e prevedibilità è diventata una vulnerabilità”(10).

b. Investigazione ed intelligence: una visione integrata
Attività investigativa ed intelligence diventano, secondo i principi che stiamo illustrando, attività compatibili. In tale ottica si può definire l’attività investigativa/ intelligence quale funzione che si specifica attraverso la raccolta, la interpretazione, il confronto e la contestualizzazione delle informazioni sì da consentire la risoluzione di un problema più o meno complesso. Ciò che differenzia l’intelligence condotta in ambito militare e l’attività investigativa ci aiuterà a comprendere se ed in che modo i due ambiti potranno interoperare. Normalmente l’intelligence militare lavora sempre per essere di supporto a future decisioni politiche e/o militari, per la formazione del processo di pianificazione o per la risoluzione di un particolare problema operativo in fase di condotta.

L’attività investigativa opera su particolari attivazioni in relazioni a fatti criminosi (concetto classico di “repressione del reato”) o, in una accezione più moderna, sviluppa un’attività anche preventiva per la conoscenza e la lotta alla criminalità, al fine di acquisire formalmente e sostanzialmente un chiaro quadro probatorio, in ordine alla commissione di uno o più reati. In fondo mentre l’attività investigativa si limita ad affrontare e risolvere un “problema di criminalità” temporalmente e localmente determinato, l’intelligence si pone come obiettivo la individuazione di quei dati informativi utili alla risoluzione di problematiche di varia natura. Pertanto se si esclude, da un lato, il limite della formalità giuridica della raccolta delle prove e, dall’altro, la minor ampiezza del genere di problematiche abbracciate, l’attività investigativa può porsi in relazione alla attività di intelligence quale utile strumento per ciò che concerne soprattutto il contrasto a tutti quei comportamenti antigiuridici che possono influire sulle decisioni politico/militari e sulla condotta di operazioni, in special modo le C.R.O.

In fondo non si possono avere dubbi sulla loro omogeneità e capacità di interagire dal momento che hanno molto in comune in quanto: - sono proiettate ad operare su scala planetaria; - nell’attuale scenario la minaccia viene a coincidere(11); - la sorpresa nel senso innanzi espresso rappresenta per entrambi una esigenza prioritaria. L’abilità quindi di chi dirige una attività investigativa, o di chi se ne deve servire per risolvere un problema operativo, sta nel conoscere lo strumento nella sua interezza e ciò si traduce nella conoscenza dei principi che informano questo strumento e, solo per chi materialmente lo conduce, nella specifiche cognizioni delle: - normative nazionali ed internazionali che regolano la materia; - principali tecnologie e, principalmente, quelle più fortemente innovative; - metodologie organizzative e manageriali; - conoscenze dell’environment.

Il rispetto formale e sostanziale della legalità e dei principi internazionali in materia, quand’anche può, in alcuni momenti, apparire un limite alle forti potenzialità dello strumento delle intercettazioni svolte a favore dell’intelligence, consente di: - valorizzare gli sforzi con teoremi solidamente costruiti e giuridicamente tutelati, tali da poter essere prodotti in un processo nazionale o internazionale; - preservare l’attività da ogni rischio o sospetto di espediente per l’utilizzo con altre finalità; - mostrarne la valenza come strumento internazionalmente utilizzabile all’estero in favore dei Paesi ove viene richiesta la presenza delle nostre truppe; - poter interagire in tempo reale con analoghe attività investigative condotte in Patria con attività di coordinamento da parte delle AA.GG. interessate. Appare chiaro, e non si vuole qui sottacere, che tali iniziative comportino difficoltà sotto molteplici punti di vista che di volta in volta verranno evidenziati, ma gli effetti positivi appaiono di gran lunga più rilevanti. Per ora ci si limita ad osservare a tal proposito che, al termine di ogni processo, poiché con l’entrata in vigore del nuovo Codice di Procedura Penale la prova si forma nel dibattimento, gli imputati potranno venire a conoscenza della tecnica investigativa utilizzata.

2. Definizione degli obiettivi

Necessaria è la identificazione delle priorità nella scelta degli obiettivi, spesso lasciata alla iniziativa libera dei singoli soprattutto in alcuni contesti caratterizzati da situazioni strutturalmente emergenziali per la radicata presenza di criminalità. Con riferimento alla impossibilità di predeterminare una graduatoria basata su priorità oggettive, poiché esse variano a seconda delle dimensioni del fenomeno criminale ed in relazione al contesto locale, si può operare un primo passo con la individuazione di un riferimento facilmente fruibile ed oggettivo: il codice penale. Il legislatore, infatti, nella valutazione delle pene trasferisce di norma l’importanza che suole dare al comportamento antigiuridico. Ma ciò non basta: bisogna andare più in là della norma, che costituisce solo un punto di partenza.

L’investigatore ben motivato e cosciente delle proprie potenzialità cercherà di individuare un obiettivo, tra quelli che il legislatore ritiene di maggiore valenza e che in quel contesto possano segnare, nella più generale linea di condotta delle Istituzioni, un vantaggio strategico per la collettività: un traguardo che, nel rispetto delle potenzialità proprie, possa significativamente identificare la presenza dello Stato nel territorio e incidere profondamente nelle dinamiche criminogene. La decisione di intraprendere una indagine il raggiungimento del cui obiettivo appare complesso e difficile nobilita e motiva il reparto. L’aspetto della scelta che lega l’attività investigativa al raggiungimento di uno scopo diviene oggi un argomento di straordinario interesse dal momento che sta emergendo una tendenza alla definizione di risultati di eccellenza, soprattutto se condotti a favore di un Paese come l’Italia che tende ad assumere iniziative ed impegni internazionali di sempre maggiore valenza e rischio. In sintesi, la definizione dell’obiettivo di una indagine deve costituire un momento di riflessione da parte di chi ben conosce lo sviluppo delle principali articolazioni della minaccia nei particolari campi ove si vuole intervenire ed ha saputo condurre una corretta analisi dei dati in possesso per consentire ai reparti investigativi di ben interpretare il proprio ruolo.

Gli obiettivi devono tendere al raggiungimento di risultati premianti e devono soddisfare indiscutibilmente anche l’aspetto economico. Non bisogna, da un lato, demonizzare gli obiettivi difficili, quelli il cui raggiungimento giustificherebbe una spesa sufficientemente alta e, dall’altro, non ci si deve limitare a porsi quelli che appaiono più fattibili, per i quali probabilmente una spesa di una certa rilevanza non sarebbe di certo giustificata. In definitiva, gli obiettivi devono tendere a rendere giustizia dell’impiego di uomini, mezzi e risorse economiche e spingere i responsabili ad imporsi risultati di eccellenza. Infine, un’ultima ma, forse, più scomoda e significativa questione, che concerne la definizione dell’obiettivo: individuato l’obiettivo è doveroso porsi in una ottica di portare l’attività a conseguire una raccolta di materiale probatorio di tale rilevanza da poter essere ragionevolmente sicuri di ottenere una vittoria clausewitzianamente definitiva. Operare nella convinzione che la restrizione precautelare nelle patrie galere possa garantire una sorta di respiro alla comunità, rischia di generare risultati fatui ed assolutamente irrilevanti nella lotta alle organizzazioni criminali.

Anzi, una risposta “scomposta” da parte delle Istituzioni può ingenerare una sorta di escalation criminale: anche sotto questo aspetto la risposta data nel pieno rispetto della legalità nazionale ed internazionale garantisce il raggiungimento di risultati non effimeri. L’obiettivo dell’attività deve contenere in sé il serio proposito della disarticolazione reale delle organizzazioni criminali che punti a condanne definitive, e ciò sarà possibile solo se la costruzione dell’impianto accusatorio sarà effettuato con il rigoroso rispetto del formalismo giuridico. La vera vittoria delle Istituzioni sulla criminalità è una conquista consapevolmente difficile e basata sull’assunto che, ad armi assolutamente impari, sopperirà la preparazione tecnico-giuridica, la novità degli assetti, la motivazione profonda, l’impegno indefesso ed una grande capacità di organizzazione di uomini e mezzi in una unità di intenti per conseguire in tutti i gradi di giudizio la affermazione dei valori dello stato democratico.

3. Analisi di fattibilità

Dopo aver focalizzato l’obiettivo, l’individuazione delle successive fasi non potrà essere definita nel dettaglio se non nei principali punti di sviluppo: imbrigliare le attività con linee di comportamento predeterminate potrebbe significare, oltre che assumersi la responsabilità di una durata all’infinito dell’attività cui si è imposto un rigido indirizzo, anche prescrivere una sorta di lettura propria della realtà che, nel suo sviluppo, potrebbe rivelarsi del tutto differente: le successive fasi di sviluppo e condotta decideranno sul suo futuro. In ogni caso è estremamente importante definire non solo l’obiettivo principale che si intende perseguire, ma indicare anche le possibili linee generali di evoluzione: sia ben chiaro che l’inizio dell’attività deve poggiare su basi solide e la sua evoluzione deve essere coerente con il quadro iniziale, intervenendo con aggiustamenti degli obiettivi solo se successive evidenze richiedono una ricalibratura dell’azione: mancando una continua verifica, si rischia di non riuscire ad intervenire validamente a fronte di uno scollamento profondo.

La prospettiva di chi deve decidere dovrà tenere sempre in considerazione che anche la definizione iniziale è solo una presunzione basata su dati che possono essere smentiti in ogni momento: avremo modo di verificare che uno dei migliori pregi di un investigatore sarà proprio la sua capacità di leggere oggettivamente la realtà che gli si presenta e di rimettere sempre in discussione il proprio ruolo e la propria visione delle cose. La lettura non dovrà contenere forzature che possono procurare pericolose distorsioni. In tale senso la prima problematica da affrontare è come interpretare il proprio ruolo con la definizione degli obiettivi che si intendono perseguire: normalmente se questi vengono imposti o posti male possono, infatti, stravolgere il lavoro, o renderne inefficaci i risultati.

Definito l’obiettivo si dovrà verificare la praticabilità dello stesso in relazione a: - sussistenza dei presupposti giuridici che ci consentono l’utilizzo della attività di intercettazione; - disponibilità di un team adeguato; - possesso di adeguate risorse economiche e di mezzi necessari. Con riguardo al primo punto (sussistenza dei presupposti giuridici), la conoscenza dovrà andare ben oltre a quella dei singoli articoli 51, 266, 267, 268, 270, 295, 296 del Codice di Procedura Penale, che indicano quando si può e come si deve formalmente registrare l’attività di intercettazione, e spingersi alla lettura delle Sentenze della Corte di Cassazione che, come abbiamo già avuto modo di notare, è intervenuta in maniera autoritativa con interpretazioni restrittive. Laddove ciò non si faccia con la dovuta accortezza ed attenzione, si correrà il rischio di vedere vanificati gli sforzi al termine di una estenuante attività: troppe volte la predetta Corte ha decretato la “fine” di un processo per il mancato rispetto dei limiti segnati dalla norma o per la non corretta interpretazione della stessa. Il problema della fattibilità giuridica, in relazione ad intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, si complica dal momento che la stessa Corte ha più volte ribadito che tale sussistenza dovrà essere presente sia nelle singole richieste di intercettazione che nelle relative proroghe, di volta in volta identificando nuovi elementi sostanzialmente differenti dagli altri e mai generici(12).

I limiti dettati dalla norma sono particolarmente rigorosi e rigidi poiché riferiti alla sussistenza, in ordine ai reati elencati all’art. 266 c.p.p., di (267 c.p.p.): - gravi indizi di colpevolezza; - assoluta indispensabilità per la prosecuzione delle indagini. Tali limiti vengono dalla stessa norma ridisegnati con minore rigorosità (sussistenza di sufficienti indizi di colpevolezza e necessarietà nella prosecuzione delle indagini), con riferimento alla sussistenza dei reati di criminalità organizzata (L. 12 luglio 1991 n. 203). Conseguiti i presupposti normativi, essenziale per la efficacia dello strumento è la disponibilità di un team adeguato che, come vedremo meglio più innanzi, consente di superare notevoli difficoltà, anche in mancanza di disponibilità di strumentazioni tecniche sofisticate: la presenza di elementi validi e motivati e la capacità del responsabile di amalgamare il team e renderlo unito verso il raggiungimento della meta prefissata rappresentano un elemento di impensabile valore.

In tutto ciò diviene estremamente rilevante l’analisi del rapporto che intercorre tra “fattore uomo” e “fattore macchina” e la loro mutevole composizione e rilevanza nelle varie fasi dell’attività: captazione, trasporto, registrazione ed ascolto delle intercettazioni. Con riferimento ad esse, abbiamo la prevalenza del “fattore macchina” nelle prime tre e del “fattore uomo” nell’ultima, ma sicuramente la più importante ed impegnativa. Sicché l’uomo assume un ruolo decisivo ed insostituibile, il cui contributo sarà, come meglio vedremo in seguito, di assoluta prevalenza e rilievo. Il possesso di attrezzatura tecnica adeguata, pur essendo un aspetto importante per la risoluzione dei problemi, deve essere pensato quale supporto fungibile nel senso che la disponibilità di alcune di queste sofisticate apparecchiature quali dotazioni di reparto non deve costringere l’investigatore alle limitate strategie che queste consentono. Difatti è la strategia dell’indagine ad imporre il tipo della apparecchiatura da utilizzare. Non sarà opportuno definire la modalità di intercettazione in relazione alla disponibilità diretta delle attrezzature tecniche ma sarà l’attività ad indicare la corretta costruzione dell’elemento sorpresa da realizzare.

Difatti “... la tecnologia stessa può costituire un limite nella elaborazione delle concezioni strategiche ed operative se esse prevedono azioni che sono possibili soltanto nell’ambito delle tecnologie disponibili. La guerra oltre i limiti è, in questo caso, la concezione di azioni che superano la disponibilità tecnologica o non si fanno influenzare da essa. Il terrorismo è la massima espressione d’indipendenza dalle tecnologie, mentre proprio la reazione lineare al terrorismo è l’espressione delle limitazioni che esse possono rappresentare”(13). Si giunge così a legare correttamente il rapporto tra tecnologia ed elemento sorpresa. Inoltre, è sempre bene rammentare che la conoscenza del territorio, dei fattori che lo caratterizzano e dei fenomeni che ivi si verificano, può essere importante per l’efficacia dell’attività in atto e per lo sviluppo investigativo, tenendo sempre in considerazione che la informazione deve essere considerata “... una fase propedeutica o di indirizzo per l’investigazione e, nella fase di sviluppo di questa, un sussidiario sostegno”(14).

4. Modalità di condotta

a. Necessità di avere o realizzare un team
Prima di procedere a qualsiasi attività complessa è bene concentrare l’attenzione sulle risorse umane in campo, tema che troppo spesso viene sottovalutato, soprattutto in una epoca dove la soluzione dei problemi viene spesso vista in chiave di disponibilità di tecnologie. Come abbiamo già avuto modo di notare il “fattore uomo” assume, come forse in molte altre attività, una dimensione di eccezionale e primaria valenza. La necessità di operare una continua valutazione dei singoli dati informativi con il supporto ed il confronto di tutti, obbliga il responsabile della attività a scegliere gli elementi singolarmente: se anche uno solo di essi non sarà dotato di quelle qualità che andremo ad elencare, vi è una buona probabilità che l’intero impegno sarà vano: anche una sola conversazione interpretata e trascritta “innocentemente” è capace di annullare mesi di lavoro indefesso!

Avendo il “fattore tempo” una sua rilevanza, la progressione, infatti, sarà determinata dalla rilevazione continua di tutte quelle informazioni ritenute dagli operatori degne di una condivisione a seguito delle direttive strategiche fornite in sede di briefing: se il singolo operatore, ritenendo erroneamente la conversazione di non particolare conto (quanto invece era stata abilmente condotta con l’utilizzo di idoneo linguaggio criptico), non ne farà partecipe il team per la condivisione del dato in formativo, si sarà persa una buona occasione di effettuare un decisivo balzo in avanti nella attività. Non è un mistero che in questa, come in tutte le attività umane, vi siano due componenti complementari che definiscono la qualità dell’investigatore e che ogni responsabile dovrà sempre tenere in considerazione per la valutazione in ordine alla formazione ed alla gestione del team: - l’esperienza di un proficuo impiego nel settore info-investigativo, inteso non come rigida e ripetitiva applicazione di procedure ma come realizzazione innovativa di abilità personali; - la competenza acquisita in un determinato campo (spesso non fungibile) all’interno della stessa attività di intelligence/investigativa: non si può definire con lo stesso approccio e conseguenti risposte un problema di natura sostanzialmente diversa (terrorismo, criminalità organizzata, criminalità economica etc.).

Non tenere conto di queste due importanti variabili può indirizzare la scelta su personale che finisce per rendere l’obiettivo irraggiungibile, con il risultato di un notevole spreco di uomini e mezzi. L’obiettivo deve essere coerente con le possibilità espresse in termini di qualità dell’investigatore e dei mezzi tecnici ed economici a disposizione. Realizzare un team affiatato significa scegliere elementi che devono caratterizzarsi per il possesso di qualità personali che, spesso, sono attitudini, inclinazioni naturali. Sovente capita di imbattersi in investigatori, il cui elevatissimo impegno e la cui altissima motivazione saranno sicuramente encomiabili, ma non sono assolutamente coerenti con i requisiti necessari al successo dell’indagine. Le principali capacità coerenti con il perseguimento sono: 1. nei servizi esterni occultati (pedinamento e osservazione): - capacità di mimetizzazione; - infaticabilità al perdurare dei servizi esterni, anche in condizioni estreme; - presenza di spirito in situazioni che possono vederlo isolatamente impegnato a fronteggiare un imprevisto in ambiente ostile; - coraggio e determinazione; - capacità di reagire immediatamente ai fatti che si registrano sul campo. 2. nei servizi interni (ascolto e verbalizzazione in sala registrazione): - capacità di analizzare in autonomia sia le conversazioni che le sfumature con la quale vengono espresse; - capacità di contestualizzare continuamente l’ascolto in relazione ad un chiaro quadro di riferimento; - attitudine a cogliere anche i sottintesi delle conversazioni; - capacità di adattamento ai dialetti ed alle espressioni idiomatiche; - idoneità alla verbalizzazione in forma corretta sia della trascrizione integrale che di quella riassuntiva; - capacità di mettere continuamente in discussione ciò che ascolta e le proprie idee. Più in generale, è necessaria capacità di adattamento a nuove tecnologie, voglia di approfondire e ricercare nuove soluzioni, grinta ed entusiasmo. E, come sommatoria di tutte, la capacità di agire in team: in sala di registrazione, nel corso dei servizi esterni e durante i briefing, discutendo e, soprattutto, sapendo ascoltare.

b. Conduzione del team
Prima di affrontare la modalità di conduzione del team è bene soffermarci su di chi fare ricadere la scelta di una tale grande responsabilità. Difatti, solo con una grossolana banalizzazione di tale attività, si investirà una persona non particolarmente dotata. In altri termini, in funzione del raggiungimento di risultati di rilievo nel settore intelligence/investigativo questo rappresenta il principale presupposto rappresentato dalla messa in campo degli uomini migliori, dotati di grandi spinte motivazionali, profonda e variegata cultura generale (per non ricadere nel pericolo che prima abbiamo visto citare dal Gen. Mini quale limite del pensiero occidentale) e tecnico-professionale (per la corretta applicazione dello strumento giuridico) e particolare attitudine manifestamente dimostrata in pregresse esperienze professionali.

Mi sto qui riferendo a personale ufficiale che riesca sapientemente a coniugare un grande estro con elevato buon senso, una profonda conoscenza con una grande volontà di continui approfondimenti, alta attitudine al comando con ascendente sul personale, profonda spinta motivazionale (derivata dal voler fornire un valido contributo alla società civile, più che da volontà di emergere) con capacità di estenderla al personale. Dopo aver verificato la sussistenza dei presupposti giuridici e la composizione del team, sarà necessario effettuare una prima riunione che definisca e riesca ad ottenere la condivisione dei seguenti punti: - importanza dell’obiettivo dell’indagine: dovrà essere bene inteso e costituirà il necessario riferimento durante tutta l’attività; - chiaro quadro di riferimento; - environment all’interno del quale essa viene condotta; - mezzi e strumenti a disposizione; - incarichi da assegnare con precisione ad ogni membro del team. Alla fine i componenti dovranno intervenire e coinvolgere tutti nella discussione sui punti forti e deboli delle suddette considerazioni: chi non vorrà intervenire dovrà esser indotto a farlo.

Solo così, in una corale compartecipazione, ove il Comandante sarà colui che prenderà, sulla scorta della discussione, la decisione finale (assumendosene la responsabilità!), gli uomini saranno consci del rilevante apporto di tutti in termini di conduzione dell’indagine. Il punto fondamentale (che sarà necessario ribadire anche nei successivi briefing) è proprio il collante del team, ove ogni valore individuale dovrà essere fatto emergere per poter essere sfruttato al massimo: questa prima occasione servirà così a inquadrare l’argomento e a segnare la modalità futura di lavoro che vedrà, come momento topico, il briefing quotidiano quale momento di scambio dei dati informativi, per il confronto e la costruzione delle decisioni, viste come frutto di un apporto comune in un quadro chiaro e generalmente condiviso. Prima di arrivare ad ogni decisione il Comandante dovrà avere cura di effettuare una verifica sul grado di percezione della discussione. Quando sarà il momento delle decisioni più significative ed incidenti sulla strategia investigativa, il Comandante potrà non solo avvalersi del contributo di tutti, ma ottenere la piena condivisione della scelta, anche a fronte di diverse valutazioni.

Gli uomini infatti saranno di fronte ad una decisione presa con cognizione di causa che, seppur difforme dalla loro, è il frutto del loro stesso apporto: la condivisione del metodo (anche se spesso potrà non essere accompagnata da una condivisione della scelta nel merito) porterà, nei momenti di maggiore difficoltà (che normalmente non mancano mai), alla piena persuasione e condivisione della decisione. A fronte di ciò il Comandante, oltre che decidere, parteciperà e capeggerà personalmente le attività più significative. La presenza sul campo aumenterà, infatti, il suo ascendente sul personale, elemento questo che per tutta l’indagine segnerà in maniera positiva o negativa, forse, più di ogni altra cosa. Si gestiranno così meglio i fisiologici momenti di frattura all’interno del team: ciò potrebbe essere determinato da momenti di particolare tensione dovuti alla percezione della delicatezza della situazione, cui corrisponde sempre un aumentato impegno con turni prolungati e densi di apprensione.

Pertanto la presenza del Comandante dovrà intensificarsi e tendere ad incoraggiare l’impegno e la serenità: pur gravando un maggior peso su di lui in relazione alla importanza delle decisioni da prendere, dovrà mostrare maggiore freddezza e determinazione. Abbiamo prima osservato che, tra le caratteristiche dei militari che costituiscono il team, si dovrà guardare al possesso delle capacità in relazione sia alle attività interne sia a quelle esterne. All’interno del team, pur avendone fissato i ruoli, il Comandante dovrà tendere alla interoperabilità delle due mansioni (soprattutto se il numero dei componenti è ridotto). Non dovrà mai accadere che ci sia una cristallizzazione tra chi esegue turni interni ed esterni. Questo per due ordini di motivi: - la assoluta necessità che chi svolge servizio in sala di registrazione abbia anche visivamente presente l’ambiente; - la opportunità di differenziare gli impegni quotidiani per offrire a tutti la possibilità di staccarsi dalla quotidianità e meccanicità degli impieghi.

La reciproca conoscenza nel tempo porterà sicuramente ad operare in maniera sempre più sicura e con minor rischio di errori, ma la personale esperienza maturata nel settore mi ha fatto riconsiderare l’argomento ponendo un limite alla durata del team: in genere ogni 3/4 anni sarà opportuno riesaminarne la composizione. La rotazione delle funzioni nel team consente di accrescere le competenze di ciascuno ed evita la cristallizzazione sulle competenze acquisite(15).

c. Individuazione ed analisi delle fonti
La preoccupazione iniziale più stringente è assicurarsi che i dati che andremo ad immagazzinare siano assolutamente genuini e produttivi. Ciò lo si può ottenere quando, evitando di banalizzare la individuazione del mezzo di comunicazione, si faccia una opportuna analisi della sorgente più idonea e remunerativa da intercettare, e che potrà essere individuata a seguito di servizi di osservazione e iniziali servizi di intercettazione, che si possono definire strumentali per addivenire alla interpretazione delle dinamiche che si muovono intorno all’individuo che si intende monitorare, per individuare: - locali frequentati o mezzi di trasporto utilizzati; - persone contattate e/o incontrate; - mezzi trasmissivi utilizzati. Questa fase preliminare, in sintesi, dovrà condurre ad analizzare e conoscere il soggetto al di là delle informazioni iniziali che necessitano sempre di essere confortate da dati di fatto.

Tale raccolta aggiornata di dati servirà anche per motivare validamente le richieste alla Autorità Giudiziaria competente, in ordine alla sussistenza delle motivazioni assunte. Da questi primi servizi il team sperimenterà la propria capacità investigativa nello sfruttamento di tutti gli errori e le debolezze dell’avversario. Sarà necessario sin dai primi momenti coordinare le attività dei servizi esterni ed interni con il ricorso a continui briefing per coordinare e analizzare tutti i dati informativi e giungere a formulare un primo indirizzo specifico all’indagine, andando a puntualizzare la strategia iniziale. È bene a questo punto ritornare sul rapporto tra dati assunti con il ricorso ad informatori e dati investigativi (assunti autonomamente con questa attività): è inutile cercare scorciatoie, assumendo per buone informazioni che devono attendere validazioni. Così facendo l’indagine rischia di fallire ancora prima di iniziare: questi dati devono essere tenuti in conto come contributo di indirizzo, ma non si potrà certo solo su questi costruire l’impianto e condurre una seria attività.

5. Attività internazionali

a. Il percorso europeo di armonizzazione delle legislazioni in materia
Non c’è dubbio che l’attività investigativa, soprattutto se condotta a certi livelli ed in alcuni particolari ambiti, porta a confrontarsi con organizzazioni criminali transanzionali, affrontando le quali non ci si può che confrontare con problematiche di coordinamento legislativo internazionale. Ciò fino a qualche anno fa rappresentava un grosso problema ma ora appare, in generale a livello europeo, e, per ciò che concerne il terrorismo, a livello internazionale, più agevole. Tutto ciò in relazione al processo europeo di compimento della cosiddetta “comunitarizzazione” dei sistemi legislativi penali, ancora in fase di realizzazione. Dalla metà degli anni ’50, le pur numerose Convenzioni multilaterali europee non sono state più sufficienti a garantire una efficace attività di polizia a fronte della “transazionalità delle attività dei gruppi criminali e/o terroristici che spesso ricorrono, fra essi, alla realizzazione di cartelli(16).

Il processo di cooperazione europea in tale materia si rafforza negli anni ’70, con la costituzione del gruppo Trevi (riunione dei Ministri dell’Interno per la cooperazione di polizia in tema di lotta al terrorismo, successivamente esteso alla criminalità organizzata ed al traffico di stupefacenti). Tale cooperazione ha avuto una accelerazione con il Trattato di Maastricht, che ha operato per costruire il cosiddetto “terzo pilastro”(17), che si fondava sulla possibilità di omogeneizzare le leggi in materia di tutela dell’ordine pubblico, attraverso la procedura di cui all’ art. 42 del Trattato sull’Unione Europea. Ma, solo con l’accordo di Schengen del 1990(18), e di fronte ad una prospettiva non più rinviabile di massima libera circolazione comunitaria di merci e persone con un conseguente rafforzamento delle frontiere con i Paesi non- Schengen, si delinea uno scenario di stretta integrazione.

Queste sono le principali novità della Convenzione di Schengen: 1. possibilità di inseguimento e pedinamento transfrontaliero; 2. più stretto coordinamento di polizia in materia di lotta a: - organizzazioni mafiose; - spaccio di droga; - immigrazione clandestina; - traffico di armi; 3. creazione del sistema telematico/informativo S.I.S. Affinché le attività di investigative a fini giudiziari condotte con l’utilizzo delle intercettazioni potesse svolgere validamente il proprio ruolo, nel 1993 a Quantico (U.S.A.) fu creato un gruppo di lavoro fra F.B.I. ed esperti degli Stati Comunitari denominato ILETS (International Law Enforcement Telecommunication Seminar). Il seguente anno a Bonn venne redatto il documento IUR (International User Requirements for communication interception), che conteneva le linee politiche guida e gli standard, cui le società di gestione delle telecomunicazioni si dovevano attenere per semplificare le attività di intercettazione delle polizie.

Da ciò è scaturita una Risoluzione del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea(19) sulla intercettazione legale delle comunicazioni che invitava i Ministri per le telecomunicazioni dei singoli Stati ad intervenire presso le società di telecomunicazioni perché consentissero la facilitazione tecnica per l’attuazione delle intercettazioni autorizzate dalla magistratura: tale documento rimanda ai requisiti tecnici già predisposti nel predetto IUR. Ciò si rendeva necessario in quanto lo scenario era profondamente cambiato, per effetto della introduzione delle nuove linee ISDN e, più in generale, della introduzione di sistemi di crittografia. Nel 1995 il sistema è stato rinnovato con la introduzione delle comunicazioni satellitari e via internet: in tale ultimo intervento è specificato che, per il futuro, le società di telecomunicazioni sono obbligate a predisporre accorgimenti tali da consentire l’esercizio delle attività di intercettazione su qualsiasi prodotto tecnologico futuro.

Strumenti di reale cooperazione e coordinamento vennero così messi a disposizione dell’Ufficio Europeo di Polizia(20) (Europol), configurando tale organismo quale intermediario diretto e “corsia preferenziale” per la collaborazione fra Forze di Polizia europee. In questo contesto, senza voler giungere a costituire una “superpolizia” che non poteva essere approvata dagli Stati aderenti, i Paesi della Unione Europea conferirono ad Europol una funzione di intelligence e di raccordo che, oltre alla collaborazione diretta riferita alla singola indagine, avrebbe provveduto alla raccolta, elaborazione, analisi e circolazione dei dati sui principali fenomeni delittuosi. È stato così introdotto il cosiddetto “processo di intelligence” ove “... sono evidenti le forti analogie di una parte di questo con il processo informativo elaborato dalla dottrina militare”(21). Più recentemente, la Dichiarazione di Roma firmata dai Capi di Stato e di Governo il 28 maggio 2002 durante il Vertice NATO di Pratica di Mare, formalizzando l’impegno per una reale cooperazione tra intelligence delle nazioni NATO e la Federazione russa, ha, ancora più chiaramente, definito il futuro dell’intelligence con la costituzione dei “... Working Group (on the Terrorist Threat to the Euro-Atlantic Area, ad esempio) all’interno dei quali i rappresentanti italiani e degli altri Stati membri europei, nell’operare a fianco degli alleati statunitensi e russi, dovrebbero potere mutuare soluzioni e modelli normativi dai differenti piani della lotta al terrorismo condotta dagli organismi della cooperazione d’intelligence, nell’Europa comunitaria, e, in particolar modo, da Europol”(22).

Nel 1997 - con il Trattato di Amsterdam - i risultati raggiunti dall’Accordo di Schengen furono incorporati nelle istituzioni della Unione Europea ed il processo di normazione comunitaria ha iniziato a trasformare le proposizioni in norme per la prevenzione e repressione dei seguenti reati: - razzismo e xenofobia; - terrorismo; - tratta di essere umani e reati contro i minori; - traffico illecito di armi e droga; - corruzione e frode. In questo quadro di avanzato stato di cooperazione avviene la scoperta dei sistemi di intercettazione di Echelon(23): ciò andava a contrastare con il cammino che si stava facendo a livello europeo. Tale scoperta si deve ad un casuale approfondimento operato nel 1997 dallo “STOA Panel” (Scientific and Technological Options Assessment)(24). Questo studio, effettuato a seguito della richiesta del gruppo Trevi del 1991 per l’analisi dei nuovi sistemi di telecomunicazione e dei diversi sistemi di intercettazione, fu commissionato alla “Omega Foundation” di Manchester e denominato “An appraisal of the Technologies of Political Control” e fu presentato alla Commissione per le Libertà Pubbliche e gli Affari Interni del Parlamento Europeo.

In esso fu rilevato che: - le avanzate tecnologie di intercettazione di comunicazioni, una volta utilizzate dall’intelligence militare durante la Guerra Fredda, venivano adoperate utilmente per fini diversi (mantenimento dell’ordine pubblico e concorrenza dell’industria privata); - le reti di telecamere a circuito chiuso (CCTV) avevano avuto uno sviluppo abnorme, in assenza di una disciplina comunitaria; - con il progresso delle tecnologie, si era determinata la possibilità di utilizzare sistemi di sorveglianza globale che consentono la sorveglianza di massa di ogni tipo di telecomunicazioni. Ciò che in sintesi creò una indubbia situazione di stallo: la reazione che si determinò a seguito della consapevolezza di questi sviluppi fu paralizzante, perché il processo di integrazione che si stava determinando si scontrava con elementi non conosciuti da parte di una serie di Governi europei che non erano inclusi nel progetto Echelon. Lo studio dello STOA giunge a distinguere nettamente le intercettazioni utilizzate chi sistemi “UKUSA”(25) ed “EU/FBI”.

Il primo avrebbe travalicato le finalità per le quali era stato creato e, “... mediante le parabole di cinque basi segrete “Siglnt” (Signal Intelligence) puntate sui satelliti di telecomunicazione INTELSAT ed INMARSAT...” avrebbe filtrato attraverso i cosiddetti “dictionary” (“...The main method of filtering and analysing non-verbal traffic, the Dictionary computers, utilise traditional information retrieval techniques, including keywords...”(26)) milioni di comunicazioni non verbali (per quelle verbali il primo rapporto STOA è stato smentito dal secondo “Interception Capabilities 2000” dell’ottobre del 1999) con finalità di concorrenza commerciale che questo secondo rapporto specifica essere avvenuti con l’aggiudicazione di importanti commesse internazionali da parte delle società “AT&T”, “Raytheon”, “Boeing” e “Mac Donnell Douglas”. La “... natura massiva, ossia non supportata da concrete e specifiche esigenze investigative...” e non direttamente ricollegabili ad esigenze di intelligence e “... il fatto che, rispetto alle intercettazioni telefoniche classiche, non è necessario porre sotto sorveglianza numeri di telefono, di fax o indirizzi e-mail di determinate persone...”(27) ha finito per determinare una sorta di effetto “freezing” sul cammino operato precedentemente verso la omogeneizzazione delle procedure e la validità e la estensione di tale approccio investigativo in ambito europeo, aggravato dal sospetto che il Regno Unito abbia svolto una “... attività di spionaggio ai danni dei cittadini ed imprese europee...”(28). Successivamente a Tampere, nell’ottobre del 1999, il Consiglio Europeo ha discusso l’ampliamento delle attività di Europol (istituzioni di squadre investigative comuni, ribadita dalla previsione dell’art. III-177 del progetto di Costituzione Europea) e la realizzazione di una “task force” dei capi delle Polizia Europee, decidendo la creazione di Eurojust, una Procura Europea composta da Giudici, Pubblici Ministeri e Ufficiali di Polizia.

Inoltre, in uno scenario di crescente cooperazione, il 10 dicembre del 2000 i responsabili degli Uffici Interpol ed Europol hanno sancito la volontà di concorrere ad accrescere la collaborazione fra i due organismi, in relazione al contrasto al crimine organizzato. Il principale timore era riferito alla possibilità di un abuso da parte dell’Autorità laddove si consentisse il suo utilizzo al di fuori della norma: numerose sono le sentenze che in più occasioni hanno ribadito ciò, in relazione ai procedimenti tecnici che tendono sempre più a perfezionarsi. Infatti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva posto limiti alla legittimità delle intercettazioni in relazione all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali del 1950. Le intercettazioni venivano giustificate solo in presenza di: - casi tassativamente e preventivamente indicati in una norma giuridica; - preventiva autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria. Ancora più in particolare la Corte Europea di Giustizia ha statuito che la norma, che è la base giuridica delle intercettazioni, deve indicare(29): - le categorie di persone sottoponibili; - la natura delle infrazioni; - le condizioni previste per la stesura dei verbali (ed in particolare per quelli riportanti il testo integrale); - le circostanze e le modalità per pervenire alla cancellazione o distruzione dei nastri di intercettazione, nei casi di non luogo a procedere. Il 20 aprile 1999 la “Commissione per le Libertà pubbliche e gli Affari Interni del Parlamento Europeo “con atto numero AA-0243/99, ha approvato all’unanimità il progetto di Risoluzione del Consiglio in questa materia: proprio perché Risoluzione essa non è immediatamente vincolante, ma quello che più rileva è la presenza dei requisiti tecnici comuni (standard) che “... consentono di predisporre misure di contrasto efficaci contro la criminalità operante a livello internazionale ed altresì semplificano l’attuazione di intercettazione che derivano da richieste di assistenza giudiziaria…”(30). Infine, sulla scorta di tutti questi atti, si giunge alla “Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione Europea” del 29 maggio 2000 del Consiglio dell’Unione Europea.

Con tale atto: - si regola la procedura di richiesta di intercettazione che l’autorità competente in uno Stato può trasmettere alla corrispondente autorità di un altro Stato (art. 18); - si disciplina la intercettazione di comunicazioni sul territorio nazionale tramite i fornitori di servizi (art. 19); - si prevede la intercettazione di comunicazioni senza l’assistenza tecnica di un altro Stato membro (art. 20). In una ottica ben più ampia - in ambito Consiglio d’Europa - è stato elaborato nel 1997 un Progetto di Convenzione (che però è ancora rimasto tale), la cui ultima versione del 9 gennaio 2001 affronta anche il problema sulle disposizioni che consentono la attività di intercettazione in tutti i 41 Stati membri (tenendo presente che Canada, Giappone e U.S.A. vi hanno aderito). Tutti questi atti rappresentano un significativo passo in avanti che probabilmente segna una direzione dei paesi europei e dei più progrediti Paesi del mondo verso: - la determinazione della importanza dell’attività di intercettazione nella lotta al crimine, formalmente dichiarata il 29 maggio 2000 dai Ministri della Giustizia e degli Affari Interni del Consiglio dell’Unione Europea nell’ambito della “Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea”(31); - la necessità di una omogeneizzazione della regolamentazione in materia delle legislazioni nazionali. L’obiettivo è quello di giungere ad una unica legislazione europea sulla cui base attrarre quella dei principali Stati nel mondo.

Più di recente, il Coreper(32) ha inviato al Consiglio Europeo un documento di conclusioni sulle tecnologie dell’informazione e sulle indagini ed azioni penali relative alla criminalità organizzata(33). In tale documento si sottolinea che “la riservatezza delle comunicazioni deve essere limitata solo se tale limitazione costituisce una misura necessaria, adeguata e proporzionata nell’ambito di una società democratica per salvaguardare la sicurezza pubblica nonché la prevenzione e l’individuazione dei reati e le indagini e azioni penali ad essi relative”.

L’intervento si rende necessario in ragione del fatto che “le innovazioni tecnologiche dovute al continuo sviluppo di internet e di altri servizi di comunicazione elettronica, nonché l’aumento delle operazioni bancarie elettroniche, oltre ad essere di grande utilità per la società, offrono ai criminali, in particolare alle organizzazioni criminali, maggiori possibilità di sfruttare le tecnologie in questione”. Per questa ragione - si legge sempre nella proposta di risoluzione elaborata dal Coreper - si determina la necessità di “raggiungere un giusto equilibrio tra il diritto dei cittadini alla tutela della vita privata e alla segretezza della corrispondenza e la capacità delle autorità giudiziarie e delle autorità incaricate dell’applicazione della legge di indagare e perseguire efficacemente la criminalità organizzata”.

Tutto ciò rende chiaro come, a fronte della importanza delle attività di intercettazione, vi siano crescenti attenzioni per l’utilizzo di detto strumento in relazione a: 1. capacità altamente invasive; 2. elevate spese di gestione ed esercizio; 3. volontà di elevare al massimo dette potenzialità in una crescente giurisdizionalizzazione mirante all’ottenimento di un coerente duplice utilizzo: - massimo sfruttamento dello strumento con l’ottenimento di prove processualmente valide; - rispetto della privacy e delle finalità, costanti nel tempo e nello spazio.

b. Le aree di possibile applicazione
La potenzialità dello strumento della intercettazione fin qui descritta, la formazione di una legislazione europea e, in parte, internazionale che tende verso la uniformità per giungere ad un suo utilizzo globale, ci possono indurre a pensare ad una applicazione quale ulteriore valido strumento a favore dell’intelligence al fine di migliorarne le performance, soprattutto nelle C.R.O. Tutto ciò alla luce di autorevoli richiami che già giungevano per lo sviluppo di una autonoma e più efficace attività di intelligence(34) e che ora, dopo i recenti e gravissimi fatti di Nassiriya, impongono una seria riflessione. La giurisdizionalizzazione della attività di intercettazione condotta al di fuori del territorio nazionale ed a supporto delle forze impegnate nelle C.R.O. può rappresentare una risposta fortemente innovativa per l’attività di intelligence poiché: - possono interfacciarsi con analoghe attività investigative condotte in Patria; - consentono una raccolta probatoria che ha un autonomo valore e che rappresenta una documentazione valida ed utilizzabile processualmente; - se ben condotta, può portare ad aumentare la sicurezza delle forze e della popolazione verso la quale si sta svolgendo l’attività di C.R.O. Pertanto, se si pensa che l’Arma dei Carabinieri ha già in materia una indubbia professionalità e consolidata esperienza e che essa esprime nelle C.R.O. la Multinational Specialized Unit quale reparto ritenuto universalmente valido per le operazioni fuori area, si potrebbe iniziare a pensare alla risoluzione degli importanti quesiti che si generano a seguito di un ricorso alla tecnica delle intercettazioni condotte fuori area: - l’autorità che autorizza la intercettazione, con la indicazione dei casi e delle modalità di applicazione e dei relativi vincoli; - le competenze delle Autorità Giudiziarie del Paese ospitante e del nostro; - il coordinamento tra le diverse forze multinazionali presenti sul campo e il corretto uso delle informazioni ai fini della prevenzione e repressione dei reati, individuando soprattutto lo scambio di informazioni necessario tra intelligence militare ed investigazioni delle forze di polizia; - in caso di “peace enforcement” ed in assenza del Governo locale, chi potrebbe rilasciare le previste autorizzazioni, validate internazionalmente; - i possibili accordi bilaterali da stipulare ed il documento internazionale relativo alla operazione, ove andranno specificate tutte queste informazioni.

6. Conclusioni

Parlando di interoperabilità tra attività investigativa ed intelligence, durante il Vertice di Pratica di Mare si è giunti alla conclusione che il futuro dell’intelligence non può che passare anche attraverso l’utilizzo delle attività investigative laddove “... la formazione di aree compatibili, o complementari, per modalità procedurali e sistemi interoperabili, con il campo d’azione militare potrebbe potenziare, in modo esponenziale e con spirito sinergico, le capacità operative di tutte le componenti istituzionali, NATO e comunitarie, preposte alla prevenzione ed al contrasto del crimine di matrice terroristica internazionale”(35). Pertanto si può dare uno sguardo al futuro di questa tecnica con il pensiero rivolto ad altri campi, in virtù del loro valore intrinseco determinato dalla estrema flessibilità dello strumento.

Di certo si renderebbe necessario un adeguamento del già valido assetto della Multinational Specialized Unit che oltre a: - un Modulo Operativo per il controllo del territorio e la gestione delle situazioni suscettibili di turbare l’ordine e la sicurezza pubblica; - un Modulo di Manovra per fornire la cornice di sicurezza e il necessario supporto alle operazioni mediante la raccolta di informazioni. Potrebbe contenere un Modulo Investigativo con un’area assegnata entro la quale sviluppare una penetrante attività investigativa su obiettivi prefissati e con i limiti indicati dagli accordi con i paesi ospitanti. Mai come in questo momento la sicurezza delle proprie forze rappresenta in teatro una esigenza insopprimibile e che non potrà limitarsi a contare solo sulle attività di Civil Military Cooperation (CIMIC), ma deve esprimere una attività concertata e che miri a prevenire le intenzioni ostili delle principali organizzazioni criminali che si ritengano essere insidiose per le nostre truppe.


(*) - Maggiore dei Carabinieri, frequentatore del 6° corso ISSMI.
(1) - Voce “investigazione” da IL GRANDE DIZIONARIO DELLA LINGUA ITALIANA, Edizione Garzanti.
(2) - È doveroso segnalare alcune incongruenze correttamente rilevate dal Procuratore Aggiunto e coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia del Tribunale di Lecce Dott. Cataldo MOTTA in Le intercettazioni telefoniche ed ambientali: orientamenti giurisprudenziali e profili evolutivi, lezioni presso al Scuola Ufficiali Carabinieri, giugno 2003, dattiloscritto (pagg. 30 e ss.)
(3) - C. MOTTA, cit.
(4) - P. ANGELOSANTO, La gestione dell’indagine, in RASSEGNA DELL’ARMA DEI CARABINIERI, n. 1/2002.
(5) - North Atlantic Treaty Organization - Nato Standarization Agency (NSA), “Allied joint doctrine” (AJP 01 - b), october 2001, chapter 12.
(6) - C. MOTTA, cit., pag. 1.
(7) - F. MINI, La guerra dopo la guerra, ed. 2003 Einaudi, Torino, pag. 31.
(8) - F. MINI, cit., pag. 31.
(9) - F. MINI, cit., pag. 37.
(10) - F. MINI, cit., pag. 111.
(11) - Tra le minacce di cui il controspionaggio si deve preoccupare il capitolo 12 (“Intelligence”) della pubblicazione “AJP-O1 (b)” annovera: lo spionaggio, il sabotaggio, la sovversione, il terrorismo ed il crimine organizzato.
(12) - Si confronti a tal proposito la precisa e semplice valutazione condotta da C. MOTTA nel capitolo, La motivazione dei decreti, dell’opera citata.
(13) - F. MINI, cit., pag. 83.
(14) - P. ANGELOSANTO, cit.
(15) - Sul punto, però, le strutture organizzative di alcuni reparti investigativi, quali il BKA (Bundeskriminalamt), prevedono, invece, la diversificazione degli impieghi.
(16) - M. D’AMICO, La cooperazione di polizia e il problema delle intercettazioni di comunicazioni nell’area comunitaria, in RIVISTA LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE, n. 1/2001.
(17) - I tre pilastri per la fondazione delle istituzioni comunitarie sono la cooperazione economica (raggiunta con la moneta unica e la Banca Centrale Europea), la cooperazione militare (avviata proprio in queste settimane con il coordinamento delle forze di difesa) e la cooperazione in materia penale (che vede come obiettivo la armonizzazione delle norme penali).
(18) - L’accordo di Schengen non nasce nel 1990 in un orizzonte comunitario, ma è un atto multilaterale di cooperazione a carattere esclusivamente economico e finalizzato a facilitare gli scambi commerciali transfrontalieri tra Belgio, Olanda, Lussemburgo, Germania e Francia e che, solo successivamente, verrà incardinato in una cornice comunitaria.
(19) - Enfopol 96/C 329/01.
(20) - Creato con la Convezione di Cannes del 25 luglio 1995 che è stata ratificata da tutti gli Stati membri ed è entrata in vigore il 10 ottobre 1998, anche se l’attività è iniziata il 10 luglio 1999.
(21) - P. ANGELOSANTO, cit.
(22) - U. MONTUORO, L’intelligence in ambito europeo ed il vertice di Pratica di Mare, in INFORMAZIONI DELLA DIFESA, n. 5/2003.
(23) - Sistema di intercettazione “a massa”, basato sulla scansione di una quantità enorme di comunicazioni analizzate da complessi sistemi informatici sulla base di una “libreria” (dictionary) che i gestori del sistema aggiornano per indirizzare la ricerca su una particolare tipologia di comunicazioni. Esso fu creato sulla base di un accordo militare segreto con funzione antisovietica nel 1947 in origine solo tra U.S.A. e Regno Unito (fu perciò denominato UKUSA). Successivamente vi hanno aderito anche il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda.
(24) - Organo del Direttorato Generale della Ricerca del Parlamento Europeo con compiti di supporto cognitivo e orientativo per i lavori del Parlamento Europeo.
(25) - Quale attività di intelligence militare degli USA (NSA e CIA), Regno Unito (GCHQ e M16), Australia (CSE) e Nuova Zelanda (GCSB). (26) - “Interception Capabilities 2000” - working document for the STOA Panel, Luxembourg, October 1999.
(27) - M. D’AMICO, cit.
(28) - M. D’AMICO, cit.
(29) - Sentenza Kruslin e Huvig contro Francia del 24 aprile 1990.
(30) - Relazione alla Presentazione del Progetto per la Risoluzione - Riferimento AA-0243/99.
(31) - “Un aspetto importante della nuova convenzione è quello legato all’obbligo di cooperazione imposto agli Stati membri in questo specifico settore, a seguito del quale nessuno di essi potrà sottrarsi all’assistenza in tema di intercettazioni, come, invece, è accaduto in passato per alcuni Paesi che non davano corso alle relative richieste opponendo la mancanza di una specifica normativa autorizzativa interna”, C. MOTTA, cit.
(32) - Il Coreper è il Comitato dei Rappresentanti Permanenti che istruisce i lavori del Consiglio Europeo. Molte tematiche, di interesse strategico per gli indirizzi politici della Unione, vengono affidati alla istruttoria di tale organismo che poi riporta le sue conclusioni al Consiglio stesso.
(33) - Coreper, “Progetto di conclusioni del Consiglio sulle tecnologie dell’informazione e sulle indagini e le azioni penali relative alla criminalità organizzata”, 18 dicembre 2002.
(34) - Nel senso, oltre al già citato capitolo 12 della pubblicazione NATO AJP-O1 nel quale esplicitamente si afferma che “...to be effective, the NATO Intelligence organisation must be supported by a broader range of national contributions than in the past...”, l’autorevole intervento del Capo di S.M.D., (durante la prolusione per l’inaugurazione dell’anno accademico 2003-2004 del CASD), che ha parlato di sfida della sicurezza globale ... “citando gli espressi richiami ad una maggiore efficienza delle intelligence di tutti i Paesi emersi sia in ambito europeo, durante il Consiglio Europeo di Helsinki (1999), che in ambito NATO, durante il Vertice di Praga (2002)”.
(35) - U. MONTUORO, cit.