L'uniforme come questione di galateo

Ufficiale in grande uniforme e appuntato in uniforme ordinaria nell'interpretazione idealizzata di Giorgio Olivetti.
"All'esattezza nell'uniforme, alla regolarità nel vestirla devesi aggiungere anche la sua nettezza, e ciò non soltanto quanto basta per non incorrere in qualche punizione, ma quanto occorre per renderla più bella allo sguardo altrui, che si compiace ognora delle immagini della bellezza". Con questo preambolo inizia il Capo VI del "Galateo del Carabiniere", scritto nel 1879 dal maggiore G. C. Grossardi e diretto all'allievo carabiniere. Dopo aver spiegato che "la proprietà dell'abito, come quella della persona, contribuisce grandemente al mantenimento della salute" (l'ufficiale voleva certamente riferirsi anche alla salute morale del militare, in quanto spesso si sente dare ad alcuno l'epiteto di brutto soldato; or bene quell'aggettivo che ritraeva l'idea della condizione esteriore dell'individuo si riferiva pure alle sue qualità morali), l'autore mette in guardia contro l'eccessiva cura nel "mantenere puliti gli abiti, lucidi e forbiti i metalli e i cuoiami... e contro la tendenza a sostituire alcuni oggetti, forse più eleganti di quelli prescritti", ritenendo con ciò di abbellire il vestire. E infine sentenzia: "prima qualità di un bel vestire si é la convenienza, e pel carabiniere questa è la stretta osservanza dell'abito prescritto". Nel 1883 era Comandante Generale dell'Arma il tenente generale Leonardo Roissard de Bellet, il quale certamente aveva letto il Galateo del Grossardi. Infatti in data 18 marzo di quell'anno rivolgeva ai Comandanti di Legione la Circolare n. 3511, avente per oggetto "Sulla frequente distribuzione di oggetti non adatti alla corporatura del militare che deve portarli". Il documento viene proposto a fianco: si tratta di un significativo attestato dell'impegno posto dai massimi vertici dell'Arma affinchè la proprietà formale del carabiniere non si prestasse a valutazioni negative. Un impegno mai venuto meno.