A cavallo di due secoli

Giorgio Olivetti, 'Brigadiere ciclista con giubbone e mantellina affardellata' (1896)
Dopo le innovazioni rese necessarie dall'iniziativa coloniale dell'Italia in terra d'Africa, poche furono le modifiche apportate alle uniformi dei Carabinieri negli ultimi anni del secolo XIX. Se si fa eccezione per il moschetto mod. 91, anche in fatto di armi non vi furono altre novità. Eppure qualcosa di veramente rilevante avvenne. Prima, però, occorre delineare il clima che caratterizzò gli anni fra il 1894 e l'inizio del '900. L'instabilità politica interna è contrassegnata dai vari governi che si alternano: Cairoli, Giolitti, Depretis, Nitti, Crispi, Zanardelli, di Rudinì sono i personaggi che nel giro di pochi anni si succedono alla guida del Paese.

Depretis nell'arco di soli 9 anni è presidente del Consiglio per ben sette volte. È il segno che il giovane stato unitario comincia a sentire il peso della sua rapida crescita; molti problemi non erano nè previsti, nè prevedibili, come l'anarchismo, le istanze sociali su base organizzata, la minaccia all'ordine costituito in forma di protesta di piazza, la recrudescenza del banditismo in Sicilia e in Sardegna, le conseguenze, infine, dell'impegno profuso dall'Italia nell'esperienza coloniale.


Maggiore in grande uniforme con croce di Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia (1900)
In una così complessa situazione il ruolo dei Carabinieri si confermò di estrema e decisiva importanza. Furono essi ad affrontare direttamente e per primi le delicatissime vicende del 1899 in Lombardia come in Sicilia, in Lunigiana come nella Maremma, senza demordere dalla quotidiana, tenace lotta alla criminalità più o meno organizzata in bande; un esempio per tutti: la cattura del brigante Musolino.

Per non parlare, infine, degli interventi in soccorso delle popolazioni nei non rari fenomeni di calamità naturali e il tutto, spesso, a costo della vita. Viene da chiedersi perché mai tutto ciò possa avere qualche riferimento in un'opera sulle uniformi dell'Arma. Eppure il riferimento esiste. In un clima di preoccupazioni economiche, con una politica governativa tendente a contrarre le spese, vi fu qualcuno che insistentemente credette di trovare la panacea ai mali italiani nientemeno che abolendo la Grande Uniforme dei Carabinieri. Era il 1894. Le interpellanze parlamentari in tal senso furono numerose, talune motivate dal fatto che l'uniforme dei Carabinieri era anacronistica, che non lasciava liberi i movimenti e che per di più, nella stagione fredda, favoriva i malanni all'apparato digestivo in quanto la parte anteriore dell'abito lasciava scoperto lo stomaco.

Venne anche chiesta da alcuni settori del Parlamento la drastica riduzione del numero delle Stazioni dell'Arma: su di un totale di 3.236, almeno 550 dovevano essere abolite. Insomma una vera campagna contro l'Istituzione, a favore della quale insorsero le popolazioni che non volevano essere private delle "loro" Stazioni dei Carabinieri, riferimento sicuro di ordine e garanzia contro ogni forma di malvivenza. Insorse la maggioranza del Parlamento stesso; intervennero scrittori come Figurelli, esperto di cose militari, il quale pubblicò addirittura un volume sull'argomento, un vero j'accuse contro il tentativo di ridimensionare la "scomoda" Arma dei Carabinieri Reali.

La grande uniforme, quell'emblema inconfondibile dello Stato, rimase intatta, non venne sacrificato alcuno dei suoi elementi caratteristici, e con essa, inalterata, i Carabinieri si accinsero ad entrare nel nuovo secolo. È il caso, a questo punto, di dare uno sguardo d'insieme alla struttura ordinativa dell'Arma, per capire anche attraverso i numeri il "grande impegno economico" che le uniformi comportavano. Un impegno che non intaccava il bilancio dello Stato. I sostenitori dell'abolizione della Grande Uniforme facevano leva anche sull'argomento dell'economia, ignorando che il "corredo" di un ufficiale e il "bottino" di un carabiniere gravavano esclusivamente sullo stipendio non certo lauto dei militari.


Quinto Cenni 'Allievi Carabinieri a cavallo e a piedi in piccola uniforme e appuntato a cavallo e a piedi in grande uniforme' (1893).
Così anche il costo del cavallo e il suo mantenimento. È opportuno quindi illustrare il concetto di "massa", che secondo la terminologia propria dell'amministrazione militare stava ad indicare quella "somma di danaro messa insieme o per sovvenzioni di governo, o per rilascio degli individui sul loro soldo, o per ritenzione prescritta ai pagatori o per proventi di servizi straordinari, che, amministrata da un consiglio di ufficiali per ciascun corpo, deve provvedere a quelle minutaglie cui non sopperisce altro assegno". Della "massa" per i Reali Carabinieri si faceva già cenno nelle Determinazioni sovrane del 9 agosto 1814, una ventina di giorni dopo le Patenti istitutive del Corpo, nelle quali si stabiliva che doveva essere a carico della massa mantenere e conservare in buono stato l'armamento e le buffetterie distribuite ai Carabinieri.


Quinto Cenni, 'Allievi carabinieri a piedi in tenuta di fatica durante un'esercitazione' (1898).
Disposizioni più precise vennero emanate con il Regolamento di amministrazione del 27 novembre 1819, che chiariva quali fossero le "minutaglie" di cui sopra. Un cenno adesso alle "paghe", per intendere meglio il concetto di massa e quanto questo istituto fosse necessario per l'amministrazione oculata delle paghe stesse. In uno studio fatto dal citato Figurelli apprendiamo le seguenti cifre, relative agli anni 1894-95: lo stipendio base annuo di un colonnello era di 6.283 lire e 96 centesimi; quello di un sottotenente di 1.655,05; ad un maresciallo maggiore a piedi andavano L.1.350, mentre all'allievo carabiniere L.632,80.

Per avere dei termini di paragone, basterà indicare che un giornale quotidiano costava 50 centesimi e l'affrancatura di una lettera ordinaria 20. Ai sottufficiali e carabinieri - non va dimenticato - veniva effettuata mediamente una ritenuta giornaliera di 1 lira comprensiva della quota a favore della "massa" generale. Altre cifre riguardano la consistenza dell'Arma. Rispetto ad una popolazione censita in poco più di 30 milioni di abitanti, i Carabinieri erano 25.271, di cui 619 ufficiali, cioè un carabiniere per ogni 1.189 italiani.


Giorgio Cantelli, 'Allievo carabiniere in tenuta di marcia affardellato' (1898)
Oggi il rapporto è di 1 a 520. Pur capillarmente presenti in ogni angolo della Penisola, essi dovevano assolvere a compiti d'Istituto fra i più impegnativi con personale numericamente appena sufficiente, considerando il gravosissimo orario d'impiego del tempo (oltre una sessantina di ore settimanali e senza riposo): perlustrazioni quotidiane, battute prolungate contro il banditismo dilagante nelle isole (è di quel periodo il "conflitto di Morgogliai" in Sardegna e l'azione di un altro personaggio emergente, Lorenzo Gasco, emulo di Chiaffredo Bergia); appartengono a quei giorni l'eliminazione del famigerato brigante maremmano Domenico Tiburzi e dei conterranei Menichetti e Ranucci.

Ma non solo in patria i Carabinieri, con la loro "anacronistica" uniforme, imponevano il rispetto delle leggi e garantivano alle popolazioni il diritto ad una laboriosa e sana convivenza. Scoppiata la lotta civile nell'isola di Candia, una commissione internazionale attribuiva loro il delicato e impegnativo compito di riportarvi l'ordine e di organizzare la locale Gendarmeria sullo schema del proprio ordinamento. Più tardi sarà la volta della Macedonia e, agli inizi del nuovo secolo, l'Arma sarà presente in Cina per proteggere la comunità italiana e quella internazionale dalla sommossa xenofoba della feroce setta dei boxers.


Achille Beltrame, 'Incontro di un tenente dei Carabinieri con un brigante latitante' (1900, da 'La Domenica del Corriere').
Le immagini che fortunatamente di quegli anni e di quelle missioni ci sono pervenute documentano l'adeguarsi dell'equipaggiamento dei Carabinieri alle Istruzioni, non poche, che puntualmente venivano pubblicate sul Giornale Militare Ufficiale. Non da meno Achille Beltrame, l'inimitabile illustratore de "La Domenica del Corriere", ci ha lasciato un'ampia rappresentazione delle uniformi dell'Arma. A parte l'eleganza del tratto, egli aveva il culto dell'informazione precisa, esatta sotto qualunque aspetto. Dei Carabinieri Beltrame sapeva tutto, non quanto Quinto Cenni seppure con talune inesattezze, ma nulla gli sfuggiva delle innovazioni uniformologiche. Era il suo uno stile di fare giornalismo in modo responsabile, documentato. Alcune sue tavole hanno a giusto merito il diritto di far parte della storia iconografica dell'Istituzione.


A. Degai, 'Colonnello in grande uniforme con bardatura da parata' (inizio 1900)
Naturalmente aveva un proprio canale privilegiato per le notizie: a Milano, ove egli lavorava, aveva stabilito dei rapporti amichevoli con il capitano Romeo Stoppani, comandante della Compagnia interna della città agli inizi del secolo appena concluso (dell'ufficiale si vedano alcune fotografie nell'Album che chiude il volume). Era un'amicizia in parte interessata ma altrettanto interessata era quella dell'ufficiale, al quale non andava a genio che i Carabinieri venissero rappresentati con inesattezze uniformologiche, come spesso avveniva su altri settimanali illustrati. Cosicchè non v'era variazione pubblicata sul Giornale Militare Ufficiale che il capitano Stoppani non segnalasse al disegnatore, il quale, fra l'altro, non perdeva mai l'occasione di inserire in una sua tavola l'immagine di un carabiniere, sia pure in secondo piano. Superato il giro di boa del XX secolo, già nel 1900 cominciarono ad essere nuovamente emanate corpose disposizioni sulle uniformi, come quella relativa agli Ufficiali del 28 marzo, che viene riprodotta integralmente nelle pagine che seguono.


Elmo e corazza da Carabiniere Guardia del re con la cifra VE, adottati dopo l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele III (29 luglio 1900).
Un necessario e tempestivo "cambio della cifra reale negli oggetti di divisa militare" fu determinato dall'uccisione del re Umberto. Con la dispensa n. 32 del 1° settembre 1900, listata a lutto, sul Giornale Militare Ufficiale vennero impartite le disposizioni al riguardo e pubblicati i disegni relativi, riprodotti nella pagina seguente. La stessa dispensa, con l'atto successivo, comunicava che "Per ordine di S.M. il Re è adottato un nuovo fregio da berretto per il personale (ufficiali e truppa) dello squadrone carabinieri guardie del Re, consistente in un'aquila sormontata dalla Corona reale e avente nel petto la cifra reale. (...)

La stessa cifra reale, ridotta nelle volute dimensioni, deve essere apposta in tutti gli altri oggetti di divisa del personale suddetto, in sostituzione di quella del compianto Re Umberto I". Identico fregio andò a sostituire sull'elmo la croce di Savoia del periodo umbertino, mentre sulla corazza venne semplicemente sostituita la cifra al centro del pettorale. Sull'elmo, nello stesso anno, venne ripristinata la stella con la croce sabauda al centro, lasciando inalterate le iniziali VE alla base del cimiero.