L'esempio di suo padre è stato determinante?
«Da ogni punto di vista. Era un uomo tutto d'un pezzo, con un forte senso delle istituzioni, con un forte senso dell'onestà. E con una disciplina ferrea».
Lei esitò però prima di accettare il ruolo di Bellodi...
«Avevo tante proposte e forse mi atterriva di dover fare i conti in qualche modo con l'immagine di mio padre. Fu Vanessa Redgrave a convincermi, mi disse "guarda che è un libro splendido". Non me ne sono pentito. Il film incassò l'equivalente di oggi di cento miliardi. Girammo con grande professionalità, Damiano era specializzato in questi film di impegno - civile. Durante le riprese (giravamo a Partinico) ci fu qualche "avvertimento", con una decina di lettere anonime».
Nell'interpretazione di Bellodi riviveva anche il suo "amarcord" personale di figlio di carabiniere?
«Sentii molto quella parte. La storia di Bellodi in fondo illustra la nobiltà di una sconfitta in un uomo che crede nelle istituzioni».
Ci sono altri carabinieri nella sua vita professionale?
«Dovevo fare "Il maresciallo Rocca" Non accettai. Ma per fortuna lo ha fatto uno straordinario attore, Gigi Proietti. Io prima avevo indossato un'altra volta la divisa, ero stato colonnello dei carabinieri in "Marathone" all'inizio degli anni 80».
Il suo rapporto con l'Arma si è consolidato dopo questi film?
«Sono molto fiero di avere la tessera dell'Arma dei carabinieri. Anzi due, perché ho anche quella che rilasciano in Australia gli ex carabinieri. E poi conservo l'encomio speciale che ebbe mio padre per un'operazione contro la criminalità in Puglia negli anni Trenta. Me l'hanno fatto avere i miei amici dell'Arma e io l'ho incorniciato nel mio studio di Roma».
Renato Minore