La situazione politica della Macedonia non aiutava certamente l'opera degli ufficiali italiani: le fazioni continuavano a sconvolgere e a turbare l'assetto politico del territorio. Le autorità ottomane locali insistevano nel loro modo di governare arbitrario e privo di scrupoli. In uno stato di anarchia quasi totale, la Gendarmeria non poteva fare molto. Le idee dei "Giovani Turchi" iniziavano a diffondersi anche tra la popolazione, e nel 1908 quel movimento cominciò a prendere in mano la politica ottomana. Gli ufficiali che vi facevano parte, dopo aver fatto comprendere, in un primo momento, che non gradivano gli ufficiali stranieri - per cui Austria-Ungheria e Germania ritirarono immediatamente i propri - in un tempo successivo decisero di continuare nell'opera di riorganizzazione della Gendarmeria intrapresa inizialmente e si dichiararono disponibili a stipulare nuovi contratti agli ufficiali stranieri che se ne erano occupati. L'Italia, da parte sua, non aveva ritirato i propri uomini, per timore che ciò venisse interpretato come sfiducia nel nuovo corso e quindi continuò, quasi senza problemi, l'opera avviata.
Il 14 marzo 1909 il Ministro della Guerra Severino Casana inviava al generale Mario Nicolis di Robilant, Comandante Superiore della Gendarmeria macedone, che aveva sostituito il De Giorgis, morto in servizio, un rapporto del Regio Ambasciatore di Costantinopoli sulle benemerenze acquisite dagli ufficiali italiani durante la loro lunga permanenza in Macedonia. Il Ministro, oltre a compiacersi particolarmente per i risultati ottenuti in una missione di carattere assai delicato, pregava il generale di esprimere a tutti gli ufficiali in servizio, in particolare al colonnello dei Carabinieri Reali Enrico Albera, Addetto Militare Aggiunto con sede a Monastir, la sua viva soddisfazione e un augurio affinché potesse sempre esplicarsi la loro «opera riformatrice e civilizzatrice».
Sempre in quel mese di marzo la Sublime Porta aveva comunicato alla Regia Ambasciata il suo desiderio di rinnovare il contratto con gli ufficiali in servizio che scadeva di lì a poco, per impiegarli nel nuovo piano di riorganizzazione della Gendarmeria macedone, accanto ad alcuni ufficiali inglesi e francesi. In quel momento gli ufficiali italiani presenti, dopo vari avvicendamenti, erano: i capitani Ridolfi, Garrone, Bonani; i tenenti Castoldi, Basteris, Luzi e Carossini. Oltre a questi uomini già in forza, il Governo di Costantinopoli avrebbe voluto assumere al suo servizio diretto il colonnello Albera, che aveva continuato ad essere l'Addetto Militare Aggiunto con sede a Monastir sin dal lontano 1904, e aveva avuto modo di far conoscere la sua abilità professionale e di diplomatico anche alle autorità ottomane.
Nel 1910 gli ufficiali italiani nell'Impero Ottomano erano così suddivisi: a Costantinopoli, presso il Servizio Centrale (Ufficio del generale Di Robilant), il capitano Garrone e il tenente Castoldi (l'unico ufficiale non dei Carabinieri, appartenente all'Arma della Fanteria); nel settore di Salonicco, il capitano Ridolfi e il capitano Giuseppe Borgna; in quello di Smirne, il tenente Arcangelo Lauro; nel settore di Beirut, il colonnello Albera, Capo del settore, il capitano Lodi e il tenente Giovanni Battista Carossini; a Trebisonda il tenente Erminio Mazza, che avrebbe poi fatto servizio anche in Grecia per la riorganizzazione della Gendarmeria ellenica; e infine il maggiore Cicognani nel settore di Baghdad. Anche il Medio Oriente iniziava a conoscere da vicino la professionalità dei rappresentanti dell'Arma. Nel Mediterraneo si preparavano però avvenimenti che avrebbero per un certo periodo sospeso le attività di questa cooperazione tecnica ante litteram: la guerra italo-turca (1911) sarebbe presto scoppiata.
Il 5 settembre del 1911 il tenente generale Alberto Pollio, Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, attirava l'attenzione del generale Paolo Spingardi, allora Ministro della Guerra, su una questione assai delicata: considerata la piega che stavano prendendo le relazioni tra i due Paesi, la permanenza degli ufficiali italiani in servizio presso la Gendarmeria turca diveniva problematica. Gravi sarebbero state le conseguenze d'immagine e di ordine morale per gli ufficiali qualora fosse stato il Governo ottomano a licenziarli. Inoltre, gravi avrebbero potuto essere le rappresaglie contro gli stessi ufficiali, qualora le relazioni fra Italia e Turchia, fino a quel momento amichevoli, fossero mutate, come in realtà già si sapeva che di lì a breve sarebbe accaduto. Il 27 settembre, alla vigilia della guerra italo-turca, tutti gli ufficiali italiani in servizio nell'Impero Ottomano furono richiamati in patria.

Il Tenente dei Carabinieri Erminio Mazza, nell'uniforme di ufficiale onorario dell'Esercito ottomano.L'opera degli ufficiali dei Carabinieri Reali e degli altri incaricati della riorganizzazione della Gendarmeria macedone fu molto apprezzata, in diversi momenti, dal Ministro della Guerra, il quale il 27 novembre 1905 aveva scritto al colonnello Albera:

«Questo Ministero già in varie occasioni ebbe a esprimere alla S.V. ed a tutti gli ufficiali incaricati della riorganizzazione della gendarmeria macedone il suo compiacimento per l'opera delicata, difficile, meritoria, ch'essi compiono in mezzo alle note rilevanti difficoltà, guidati ognora da quegli altissimi sentimenti di abnegazione, di zelo, di disciplina che costituiscono doti precipue dei nostri ufficiali. Ora in seguito alle comunicazioni fattemi dal R. Ambasciatore a Costantinopoli che vengono a confermarmi ancora una volta il giudizio altamente lusinghiero espresso dalle competenti autorità sulla accennata benemerita operosità, sono lieto di poter nuovamente esprimere alla S.V. ed agli ufficiali dipendenti quanto io apprezzi i loro rilevanti sforzi per raggiungere la meta e quanto compiacimento mi porga il constatare come ne sia apprezzato adeguatamente il valore a maggior decoro dell'esercito e del nome italiano».

Scriveva negli stessi anni l'Addetto Militare a Costantinopoli, colonnello Vittorio Elia, al Comandante in seconda del Corpo di Stato Maggiore («Riparto Operazioni») sull'opera dei Carabinieri Reali:

«Colgo volentieri l'occasione per segnalare a codesto Comando come ogni qualvolta c'è da compiere una missione delicata e non facile, i comandanti di settore destinino di preferenza ufficiali italiani, quando ne possono disporre, sicuri come sono del loro tatto e della loro imparzialità; nonché della competenza che, come i francesi, hanno nella tecnica della gendarmeria. Aggiungo ancora che i nostri, sempre pronti a partire al primo cenno, non fanno mai questione di disagio, di spese, di competenze; cosa questa che non si può dire di tutti gli ufficiali appartenenti alle altre nazioni».

La presenza dei Carabinieri Reali, che, nonostante obiettive difficoltà di ordine politico, aveva lasciato un'ottima impressione, avrebbe avuto modo di rinnovarsi dopo la fine del primo conflitto mondiale. Il ricordo della loro alta professionalità non sarebbe stato cancellato dagli eventi bellici e dai grandi cambiamenti politici che avrebbero visto la fine dell'Impero Ottomano e la nascita della laica Repubblica Turca.

Il Capitano Giuseppe Borgna: anch'egli fece parte del contingente dell'Arma chiamato a riorganizzare la Gendarmeria macedone. Ma ancor prima del 1919, e cioè già dopo la Pace di Losanna, che segnò la fine della guerra italo-turca (1913), si tornò a parlare della presenza degli ufficiali italiani nell'Impero.
Nell'aprile del 1913, in un rapporto, l'allora Addetto Militare a Costantinopoli, il colonnello Ernesto Mombelli, riferiva allo Stato Maggiore dell'Esercito della necessità sentita da tutta la stampa di Costantinopoli di procedere con riforme nei diversi rami dell'amministrazione ottomana per dare quella sicurezza e quella continuità d'indirizzo senza le quali era vano sperare che l'Impero turco potesse mantenere l'integrità dei possedimenti asiatici. Per quanto riguardava la riorganizzazione della Gendarmeria, che aveva necessità anch'essa di urgenti e radicali riforme, la stampa locale ricordava che i militari italiani avevano fatto una buona opera in Macedonia: dovendo il Governo ottomano scegliere tra gli specialisti per le riforme, essi venivano dunque indicati per quanto riguardava la Gendarmeria.
Mombelli, da parte sua, sosteneva che era interesse dell'Italia rientrare nella riorganizzazione amministrativa del Governo ottomano, anche soltanto per la parte riguardante l'ordine pubblico, convinto che con il tempo sarebbe aumentata l'influenza italiana e così l'Italia avrebbe ottenuto un ruolo più importante ed esteso:

«La gendarmeria ottomana, la quale nel 1911, sotto la direzione del Generale Robilant e col concorso di valenti nostri ufficiali dei carabinieri, si era sistemata assai bene in Macedonia e si era messa su buona via di riordinamento in Asia Minore, si è arrestata dopo la partenza dei nostri ufficiali, per effetto della guerra italo-turca ed è andata in seguito mano mano peggiorando».

Con il ritiro, nel 1911, della Missione italiana, il comando era stato affidato a un francese, il generale Bauman, impegnato in modo molto attivo insieme ad altri ufficiali inglesi e francesi: nessuno di essi, però, aveva una competenza tecnica, perché appartenevano tutti ad Armi combattenti. Nel 1913, dunque, la Gendarmeria ottomana si trovava in cattive condizioni e il Governo aveva urgente necessità di riorganizzarla, specialmente in Anatolia e in Arabia, dove l'ordine pubblico minacciava di essere seriamente compromesso. Gli stessi ufficiali turchi che prestavano servizio in essa ritenevano indispensabile il ritorno degli ufficiali dei Carabinieri italiani, ed avevano presentato in proposito un promemoria al Gran Vizir, Mahmud Chevket Pascià, cercando di ottenere contemporaneamente l'appoggio dell'Addetto Militare e dell'Ambasciatore d'Italia per la loro richiesta. Il Gran Vizir si dimostrò favorevolissimo al richiamo dei Carabinieri, ma lo scoppio del conflitto mondiale lasciò in sospeso queste prati che.